Buona la prima per la nuova rassegna dedicata al tema “Natura è cultura”. Saprà crescere? Saprà ripercorrere la via del successo di altre rassegne come quella di Mantova?
«È andata bene». Così mi hanno risposto gli organizzatori del primo Festival del Parco di Monza mentre ci aggiravamo fra il prato e il cortile di Villa Mirabello insieme ad alcune centinaia di visitatori.
Nelle settimane precedenti le incognite non erano poche: e se piovesse? e se la domenica non fosse il giorno più indicato? E se non ci fossimo spiegati bene?
Invece le cose, appunto, sono andate bene. Per tutta la giornata si sono viste coppie, famiglie, giovani e meno giovani aggirarsi fra gli stand, i concerti, i documentari della sala proiezioni e tutte le altre attività previste dal programma dell’edizione “zero” del Festival. Non era una folla oceanica come quelle degli ultimi anni per i grandi concerti o per il Papa, ma è andata bene.
Era importante far nascere al meglio questo cucciolo di Festival, senza manie di grandezza ma soprattutto per dimostrare alcuni aspetti davvero rilevanti. A cominciare dalla differenza fra una location e un luogo. Una location (orrendo, inflazionato, insopportabile termine al pari di evento) è per sua natura un contenitore buono ad ospitare indifferentemente qualsiasi cosa, o quasi. E il Parco di Monza troppo spesso viene considerato e trattato come una location, un punto come un altro sulla mappa dove far convergere quanta più gente possibile senza alcuna relazione con la sua essenza, con la sua storia, con la sua natura.
E invece il Parco è un luogo — e che luogo! — non una scatola da riempire. Un luogo da vivere senza null’altro (senza additivi, come sostengono alcuni) ma anche insieme ad altro, se questo altro è compatibile e sostenibile.
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