No, un “piano B” non ci sarà: già, proprio così, poiché se vinceranno i No la nostra Costituzione mancherà l’appuntamento con la riforma per i decenni a venire. Quanti decenni ancora nessuno può dirlo, ma ci si può fare un’idea sulla base dei numerosi tentativi consumati fino ad oggi, e finiti nel nulla. Ecco che allora l’importanza del Sì al referendum emerge con chiarezza.
Il testo oggetto della consultazione il prossimo 4 dicembre, ossia la sintesi a cui si è arrivati dopo due anni di dibattiti e votazioni in Parlamento, riprende e dà concretezza alla tradizione ulivista in tema di riforme istituzionali. Un cambiamento comunque non imposto da un solo partito, bensì un passo in avanti condiviso, in cui certamente il Partito Democratico ha svolto con merito il ruolo delle regia. Tuttavia, altre forze politiche hanno dato il loro contributo, tra cui il principale partito di centrodestra ossia Forza Italia. Il voto favorevole dei forzisti è infine venuto meno solo in un secondo momento, con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quindi per considerazioni politiche nate al di fuori del dibattito sulle riforme costituzionali.
Un dato inoltre non trascurabile: i Sì alla riforma, nei vari passaggi in Aula, hanno raccolto mediamente una percentuale attorno al 56-58% dei componenti, non una maggioranza risicata insomma, e ciò grazie al voto favorevole degli esponenti centristi. Come si intuisce, si tratta di aspetti che corroborano l’impianto trasversale della legge.
E l’importanza decisiva del voto la si coglie semplicemente prendendo in esame un elemento politico fondamentale: l’Italia è oggi un paese tripolare che vede una tripartizione tra centrosinistra, centrodestra e Movimento 5 Stelle. E se combiniamo questo dato consolidato con l’eventuale (ma non certo auspicabile) prevalenza dei No al referendum, si può dedurre quanto l’approvazione di un nuovo testo condiviso scivolerebbe troppo in là nel tempo.
Il centrodestra ha sempre issato, infatti, la bandiera del presidenzialismo, con l’elezione diretta del Capo dello Stato associata a un rafforzamento notevole dei poteri dell’esecutivo. Un passaggio del tutto assente nella legge oggetto del voto, visto che non vi è un solo articolo che modifichi i poteri del governo o del Colle. Con una riforma di destra, al contrario, le paure di un eccessivo sbilanciamento di potere nelle mani dell’esecutivo avrebbero ragioni ben più prolifiche.
Dall’altro, il M5S insegue un modello di democrazia che è “altro”, cioè strutturalmente distinto e diretto verso la democrazia diretta, con tutti i rischi ad essa connessi. Insomma, la sostituzione della democrazia rappresentativa con un cosiddetto “Rousseau 2.0” che implementi, almeno nelle intenzioni, una web-democrazia basata su Internet e dalle caratteristiche ancora indefinite. Inoltre, benché la legge elettorale (come l’Italicum) non sia oggetto del referendum, il sistema elettorale sostenuto dal M5S, dagli effetti sostanzialmente proporzionali, riflette un’impostazione distante rispetto alla vocazione maggioritaria del Partito Democratico e all’idea che la sera delle elezioni vi sia un chiaro vincitore, bilanciando in modo appropriato governabilità e rappresentatività. Sono quindi lampanti le motivazioni che rendono conto della difficoltà di un’eventuale nuova riforma che, pur nella continuità, apporti cambiamenti necessari e in sintonia con la storia del centrosinistra italiano.
Il 4 dicembre saremo chiamati a dire Sì o No a una razionalizzazione dei meccanismi di funzionamento delle istituzioni italiane che le renda più semplici, funzionali e rispondenti alle necessità dei cittadini. Con la vittoria del Sì giungerebbe a compimento un dibattito trentennale il cui contenuto è stato condiviso dalla stragrande maggioranza degli esponenti politici, come dimostra l’appello che per anni è riecheggiato in favore del superamento del bicameralismo paritario, della differenziazione dei ruoli di Camera e Senato, di tempi certi nella discussione e nell’approvazione delle leggi, fino alla più recente richiesta di riduzione dei costi della politica, abolizione di enti superflui e riequilibrio nei rapporti Stato-Regioni.
La scelta del Sì renderà possibile quel passo in avanti che disegnerà la nuova Italia, un appuntamento da lungo atteso e ora da cogliere.
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