Ieri mattina il governo ha ottenuto alla Camera la prima delle tre fiducie chieste sull’approvazione della legge elettorale, quella sull'articolo 1 che introduce il premio alla lista e la soglia di sbarramento al 3%: hanno votato sì 352 deputati, con 207 contrari e un astenuto. Alla maggioranza che sostiene il governo - che sulla carta, dovrebbe poter contare su 396 voti - ne sono mancati 44. Ma pesa la rottura in atto nel Pd: ben 38 deputati della minoranza interna, di cui 2 assenti per malattia, non hanno preso parte alla votazione, ritenendo ingiustificata l'apposizione della questione di fiducia da parte del governo.
Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi ha dichiarato: “Sono soddisfatta, i numeri sono in linea con le altre fiducie" e il vicesegretario del PD Lorenzo Guerini ha sottolineato: "Dal punto di vista dei numeri, è la seconda miglior fiducia del governo" anche se ha precisato che, in vista del voto finale, "c'è un lavoro politico da fare, di confronto nel Pd e nel gruppo parlamentare, e lo faremo".
Nel voto si è consumata anche una spaccatura all'interno di 'Area riformista', con 50 deputati che hanno firmato un documento favorevole alla fiducia pur considerandola "un errore" da parte del premier. Ieri sera invece, al termine di una discussione durata oltre quattro ore e mezza dell'area più vasta della minoranza Pd, Roberto Speranza, capogruppo dimissionario e guida della componente, aveva confermato il suo non voto, escludendo in modo netto ogni ombra di scissione dal Pd.
Tra coloro che non hanno votato ci sono l'ex premier Enrico Letta, l'ex presidente del partito Rosy Bindi, gli ex segretari Guglielmo Epifani e Pierluigi Bersani, i candidati alle ultime primarie Gianni Cuperlo e Pippo Civati.
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