Una parte importante della memoria e dell’identità del nostro paese nasce dalla Resistenza. Essa coinvolse operai, contadini, militari e studenti, uomini e donne impegnati nella lotta armata ma anche nella diffusione della stampa clandestina, nella protezione e assistenza verso gli ebrei e i perseguitati politici, nel contrasto passivo alle imposizioni tedesche e fasciste.
La Resistenza fu certamente un movimento di liberazione contro un occupante straniero, ma anche una guerra civile fra italiani e, per molti che vi presero parte, una lotta di “classe” per cambiare radicalmente gli equilibri sociali.
Per i partigiani appartenenti alle formazioni Garibaldi, Giustizia e Libertà, Matteotti, legate ai partiti politici antifascisti, e in generale per tutti i gruppi aderenti ai Comitati di Liberazione Nazionale (CLN), la Resistenza rappresentò un momento unitario e fondante di quei valori di pace, libertà e convivenza civile che, a guerra finita, sono confluiti nella Costituzione della nostra Repubblica.
Il ricordo di questo momento basilare della nostra storia è però spesso affidato a celebrazioni distanti dalla sensibilità contemporanea. La Resistenza rischia quindi di apparire sempre di più come un evento lontano nel tempo e ancora più distante dal vissuto, dai problemi, a volte drammatici, e dalle speranze degli italiani di oggi. Questo “difetto di comunicazione” può avere conseguenze gravi, dato che ancora oggi i valori espressi dalla nostra Costituzione sono messi in discussione o persino negati. Una Costituzione bellissima, ma come tutte le cose belle, fragile, delicata, che ha un suo equilibrio interno, ancora da scoprire, che a più di sessant’anni dalla sua entrata in vigore aspetta ancora di essere pienamente attuata.
Non è la sede e il momento di riflettere sulla necessità o meno di apportare modifiche alla stessa e quali. E’ però la sede per sottolineare alcuni pericoli, il principale dei quali è quello di approcciarsi alla nostra Carta con superficialità, attuando modifiche frutto di slogan del momento, piuttosto che frutto di approfonditi dibattiti e di serie meditazioni.
Perché la Resistenza possa essere davvero compresa in tutta la sua importanza, è necessario che sia raccontata per quello che è realmente stata, al di fuori di qualsiasi retorica: un’esperienza drammatica, ma anche esaltante e formativa, vissuta da giovani spesso inesperti; una dura scuola di libertà per tanti italiani delle più diverse idee politiche o che proprio allora si affacciavano alla politica, un periodo violento, non privo di pagine oscure, ma anche ricco di umanità e speranze per il futuro.
Ma per raccontarla nella sua importanza vi è la necessità di un luogo della memoria o di luoghi della memoria dove “coltivare” la memoria collettiva di che cosa fu la Resistenza affinché la stessa sia tramandata alla generazioni future e affinché la Resistenza e i suoi valori più alti continuino ad essere mito fondante della nostra Repubblica.
Luoghi della memoria che non siano solo raccolta di documenti, di testimonianze, ma che siano anche spazi che inducano alla riflessione e al raccoglimento affinché la Resistenza non sia solo una serie di avvenimenti, ma sia colta nella sua vera essenza di riscatto morale dopo gli anni bui del fascismo.
Le memorie si formano e svaniscono di continuo. Possono essere manipolate e modificate. Vi sono memorie individuali, quelle personali, e memorie sociali. La memoria sociale, laddove si condivide una storia comune con un determinato gruppo di persone, è cruciale nel creare e mantenere un senso d’identità individuale e collettiva, ecco perché continua ad essere cruciale la celebrazione del 25 Aprile, ecco perché nel momento difficile che siamo stati chiamati a vivere è necessario ritornare al mito fondante della nostra Repubblica, ai suoi valori e alle sue aspirazioni, per trarre da esse nuove speranze e nuova fiducia.
Lo dobbiamo a noi, ma lo dobbiamo alle nuove generazioni le quali sappiano che quei valori sono vivi e validi e che, se molte volte noi non siamo stati capaci di attuarli, ci perdonino, ma il non essere stati in grado di attuarli non significa che essi abbiano perso forza e vigore.
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