A fine maggio alla Cascina Cantalupo, nell’ambito della «Giornata della Cooperazione» è statopresentato il volume “Oltre la retorica” la “buona cooperazione” nel territorio di Monza e Brianza», curato da Egidio Riva, sociologodell’Università Cattolica di Milano.
Il volume, che presenta i risultati della prima ricerca compiuta sul movimento cooperativo monzese e brianzolo, offre molteplici spunti di riflessione per l’intera comunità locale.
Mostra, anzitutto, che il movimento cooperativo in tempi di crisi economica si caratterizza per una notevole capacità di resilienza: negli ultimi cinque anni, infatti, le imprese cooperative sono risultate meno soggette al fenomeno della cessazione dell’attività e sono inoltre cresciute a un tasso medio annuo più elevato di quello riscontrato nel sistema di impresa locale, giungendo a costituire circa il 5% del totale occupazionale e l’1,3% del totale delle imprese di Monza e Brianza.
Il che significa che il movimento cooperativo è riuscito a intervenire a difesa dei volumi occupazionali del territorio e dunque del reddito delle famiglie e anzi ha saputo creare nuove occasioni di impiego, peraltro in settori – in primo luogo i servizi alla persona e alla comunità – che contribuiscono a promuovere la qualità della vita e la coesione sociale.
Ma, come suggeriscono i dati e le informazioni proposte nel volume, l’impresa cooperativa è anche, o forse meglio prima di tutto, un attore politico in senso proprio.
Ha assunto progressivamente su di sé la responsabilità della riqualificazione delle logiche e dei servizi del welfare, incentivando il superamento di un’impostazione burocratica e amministrativa in favore di un approccio costruito attorno al valore della relazione e della qualità della risposta al bisogno.
Va colmando il vuoto lasciato dal ritrarsi dell’attore pubblico e svolge funzioni di advocacy, sia facendosi garante della esigibilità dei principali diritti di cittadinanza sociale, specie per le fasce di popolazione più deboli e svantaggiate, sia stimolando l’innovazione sociale e istituzionale. Diffonde il principio della reciprocità e afferma il valore delle relazioni, contribuendo ad alimentare legami di tipo fiduciario a livello locale.
Promuove un modello di crescita e sviluppo più attento alle istanze di riproducibilità nel tempo, con un’attenzione crescente, dunque, sia ai temi dell’impatto ambientale sia, in quanto impresa sociale, a quelli della sostenibilità socio-economica.
In questi termini, è chiaro che il movimento cooperativo costituisce un patrimonio inestimabile del territorio. E tuttavia – per riprendere ancora una volta le riflessioni contenute nel volume – non pochi sono gli ostacoli che frenano la valorizzazione di questo patrimonio.
Al riguardo due sembrano essere le questioni centrali.
La prima: le cooperative, per liberare il proprio potenziale, sono chiamate a diventare meglio strutturate, a incrementare le proprie competenze economiche, gestionali, organizzative, progettuali. Anche e soprattutto a investire in informazione e comunicazione: verso l’interno, per rimotivare i vincoli associativi e garantire la trasmissione dei principi regolativi della cooperazione alle nuove generazioni di lavoratori; verso l’esterno, per rendere trasparenti, concreti e condivisi i riferimenti valoriali, le prassi, la finalità del movimento.
La seconda questione: l’attore pubblico tende in molti casi a fare un uso distorto e parziale della cooperazione, soprattutto quando, secondo una lettura altrettanto distorta e parziale del principio di sussidiarietà, vi delega la progettazione e gestione dei servizi di pubblico interesse (specie in ambiti che per ragioni di ordine economico, ma anche per scelte di stampo prettamente culturale e politico non riesce a o non intende più presidiare), senza tuttavia riconoscere i relativi costi.
Ebbene, un tale approccio sta minando alle basi la tenuta della cooperazione, poiché né mette fortemente in discussione la capacità di assicurare la mutualità interna e, al contempo, di preservare la qualità e l’innovazione dei servizi erogati.
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