Il terzo quesito riguarda il nucleare. Come è noto il Governo ha abrogato il comma 1 dell’articolo 5 della legge 75/2011 che riguardava proprio l’energia nucleare, ma non l’8 che è anch’esso oggetto di referendum.
In pratica il primo prevedeva l’ausilio delle centrali nucleari per la produzione di energia, il secondo la predisposizione di un piano energetico per l’Italia.
Perché andare a votare sì allora? Il motivo è per lo più politico, visto che il ritorno al nucleare è stato cancellato dallo stesso Governo. Berlusconi, però, ha già dichiarato di averlo sospeso solo temporeneamente per evitare una sconfitta referendaria.
Quindi l’abrogazione del comma 8 formalmente andrebbe a togliere al Governo la sola possibilità di mettere in piedi una strategia energetica nazionale.
Nessun timore comunque perché di piani energetici attualmente non ce ne sono da vent’anni e sarà comunque possibile prevederne in futuro anche a dispetto del risultato referendario.
Ma perché dire no al nucleare? Le motivazioni sono numerosissime. In primis perché il Governo ha dirottato gli incentivi alle energie rinnovabili sul ritorno all'atomo, nonostante questa tecnologia non potrebbe permetterci di raggiungere gli obiettivi del 20-20-20, visto che, anche se iniziassimo domani la costruzione di una centrale, non sarebbe comunque pronta prima del 2023.
Non ridurrebbe la nostra dipendenza energetica dall’estero. L’uranio in Italia non c’è e quel poco che è prelevabile dai nostri mari è di difficile estrazione e non può essere trattato (arricchito e/o trasformato in vero e proprio combustibile nucleare) per via della mancanza di strutture specifiche in Italia. Le pastiglie di uranio insomma dovrebbero essere importate, in particolare dalla Russia e dalle miniere francesi in Africa.
Non è ad impatto zero. Nei processi di arricchimento e stoccaggio dell’uranio si emette CO2, sebbene in quantità inferiori per unità di energia prodotta rispetto ad una centrale a olio combustibile (70% in meno circa). Si prevede però che, nei prossimi trent’anni, per via di un diminuzione graduale della qualità dell’uranio (minore presenza dell’isotopo 235 rispetto al 238), i processi di arricchimento porteranno ad emettere CO2 per unità di energia prodotta pari a quella emessa da un normale ciclo combinato.
Il problema delle scorie è tutt’altro che risolto. La maggior parte delle scorie hanno una radioattività che si riduce nel giro di qualche secolo, ma una quantità comunque consistente (5-7%) rimane radioattiva per millenni. Attualmente non si è trovata alcuna soluzione a questo problema e i depositi geologici trovati negli anni ’60-’70 non si sono dimostrati così affidabili, visto che, a soli quarant’anni da allora, si cominciano a rilevare problemi legati all’inquinamento di falda (Germania e Stati Uniti).
I costi di decommissioning sono circa 4 volte superiori (e aumentano) di quelli di costruzione. Ciò significa che, a lungo andare, il bilancio netto tra energia immessa in rete e quella prelevata sarà negativo e a pagarlo saranno le prossime generazioni (presumibilmente quelle che popoleranno il nostro Paese tra i 60 e 150 anni da oggi).
Non esiste la IV generazione, checché ne dica Berlusconi. Siamo ancora fermi alla III con qualche innovazione in più su sicurezza e efficienza rispetto ai progetti della fine degli anni ’80. La IV generazione è ancora frutto di ricerca e non ha ancora applicabilità economica.
Le centrali svizzere e francesi non sono così vicine. Un incidente nucleare come quello di Chernobyl rende pericolosa un’area con un raggio di circa 80-100 km. Le nubi radioattive comportano problemi, ma di molto inferiori rispetto a quelli sviluppabili a distanze più ridotte. In Giappone, a seguito dell’incidente di Fukushima, l’esposizione alle radiazioni a più di 400 km dalla centrale è stata inferiore a quella di una normale radiografia. Ecco perché c’è differenza tra avere la centrale più vicina in Italia o oltralpe.
Non diminuirebbe il costo dell’energia. Il mercato energetico italiano adotta il system marginal price. Ogni giorno, per ogni ora della giornata, nella Borsa Elettrica viene venduta e acquistata l’energia elettrica che servirà per il giorno dopo, calcolata sulla base di previsioni statistiche. Quello che è interessante è il modo con cui viene stabilito il prezzo di acquisto dell’energia elettrica. Per ogni ora della giornata, il Gestore del Mercato Elettrico raccoglie le offerte di vendita e le mette in ordine di prezzo crescente. Alla saturazione dell’ora, il prezzo viene attribuito in blocco sulla base del prezzo più alto offerto.
Ecco perché un’eventuale convenienza dell’energia nucleare non verrebbe assolutemente rilevata dai consumatori finché avremo centrali con bassi rendimenti in funzione.
L’atomo, però, non solo non farebbe calare i prezzi, ma li farebbe addirittura aumentare per ammissione dello stesso Governo Berlusconi. Secondo il Ministero dello sviluppo economico (risposta ad una proposta di emendamento del 2008), infatti, non è possibile passare dal sistema marginal price al sistema pay as bid (che prevede invece che si dia la precedenza alle forniture offerte ai prezzi più bassi) per incompatibilità con i nuovi investimenti nel nucleare.
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