Il "pretesto" la travagliata vicenda Fiat che ha visto il mondo sindacale su posizioni diverse, perché diverse sono le sensibilità che emergono.
Invitato "d'onore" al convegno Tiziano Treu, senatore PD e storico giuslavorista.
Nella sua relazione Treu ha voluto mettere l'attenzione "sulle relazioni industriali, che hanno accompagnato la crescita del paese nel dopoguerra che sono ora cambiate. Il mercato è mondiale e si sente l'esigenza di sviluppare nuove regole. Mentre si registra un calo della presenza sindacale ( non solo in Italia ) cresce la tendenza ad uscire dal contatto nazionale.
In questa situazione il sindacato, e non solo la CISL, deve giocare un nuovo ruolo ( essere sulla palla).
Tre ha ipotizzato 4 obiettivi:
1) salvare un quadro di sistema – il contratto nazionale – che è la carta delle regole. Ma snello ed
essenziale. Non più di 200 pagine. Più è pesante più vengono chieste deroghe;
2) gestire il livello aziendale. E' lì che arrivano le botte della competizione. Lo Stato può fissare alcuni punti, ad es. un salario minimo, ma non molto di più. Occorre sviluppare la competitività che, come esemplifica la Germania, significa qualità dell'organizzazione e qualità del personale. E abbandonare la precarietà per aumentare la fidelizzazione. Serve per migliorare il capitale umano e il know how aziendale;
3) puntare alla partecipazione;
4) Sviluppare nuove regole, per dirimere i casi di conflitto".
Per Giuseppe Farina, (Segr. gen. FIM CISL ), "non a caso è stata la FIAT a sollevare il problema. Fa parte del settore metalmeccanico, che da sempre è il più numeroso ed è stato sempre la punta di diamante delle relazioni industriali.
L'auto è il settore più esposto alla competizione globale. Sembra di vivere un cambiamento epocale, come quello sperimentato negli anni '60. E' un mondo nuovo che riguarda le grandi aziende, ma che influenza anche le piccole.
Cambiano i paradigmi. La trattativa con la FIAT ce lo ha insegnato. Lo spazio non è più elemento vincolante. Se non si fosse concluso a Pomigliano l'attività avrebbe potuto essere spostata altrove. Anche il tempo cambia parametro. I tempi lunghi delle trattative industriali di passata memoria non valgono più. L'urgenza delle decisioni ( con un po' di arroganza da parte FIAT, occorre dirlo ) è diventata determinante.
Occorre che le nostre industrie riescano ad attrarre capitali dall'estero, perché anzitutto dobbiamo difendere quello che abbiamo, ma ciò che perdiamo dobbiamo rimpiazzarlo con nuove attività.
Ci sono due rischi da evitare: per il sindacato la nostalgia degli anni '70; per gli imprenditori la nostalgia degli anni '50.
Nei confronti della FIOM il 90% degli argomenti ci trova su posizioni comuni. Ma prevale ancora l'idea conflittuale dei rapporti, mentre occorre puntare di più sulla contrattazione. Occorre saper gestire le differenze.
Per Gigi Petteni ( segr. gen. CISL Lombardia) "il dibattito si è concentrato troppo sulla FIAT. Ma la realtà è molto più ampia. Una parte importante dell'attività è ormai commerciale. E nel tessile hanno dovuto fare i conti con la realtà da anni.
La sfida prossima è sugli ammortizzatori sociali, mentre occorre puntare sulle relazioni industriali per ricreare occupazione attraverso investimenti e flessibilità buona"
Sollecitati dal pubblico i relatori hanno poi sottolineato che si è persa per strada la formazione del personale; la contrattazione unitaria è in crisi, mentre si sviluppa quella aziendale.
Va comunque salvaguardato il diritto di rappresentanza in azienda.
L'unità sindacale è sicuramente un bene da ricercare, ma non ad ogni costo. Importante sempre è mettere al centro la priorità del lavoro.
Una breve riflessione finale di chi scrive: tutti i relatori hanno sottolineato la necessità di un approccio nuovo, più pragmatico, alle relazioni industriali, per affrontare i cambiamenti epocali del mondo dell'economia e del lavoro. Non è stato toccato, se non con qualche rapido cenno, il problema del precariato, o del dualismo del mercato del lavoro, che consente alle aziende di ridurre il costo della manodopera per restare sul mercato, anziché concentrare gli sforzi per migliorare l'organizzazione e la ricerca di nuovi processi/prodotti.
Si crea così un esercito soprattutto di giovani e donne senza una prospettiva per il futuro, legati ad impieghi brevi ed insicuri, dove non riusciranno mai a diventare quel capitale umano così necessario, sul quale costruire un know-how aziendale..
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