0- Le relazioni internazionali: l’anno ZERO.
Il primo atto riconosciuto ufficialmente come relazione internazionale risale al 1848: nello specifico un atto plurilaterale.
È il “dispaccio Lafayette”, con il quale il Ministro degli Esteri Francese, per l’appunto il citato, tenta di calmierare l’onda rivoluzionaria del 1848, informando le casate regnanti di tutt’Europa che la Francia tenterà in tutti i modi di contenere i moti rivoluzional-costituzionalisti all’interno dei propri confini: un fallimento totale.
I soggetti sullo scacchiere di allora sono sovrapponibili, per alcuni aspetti, alla situazione Israelo-palestinese di oggi, se pur con ruoli diversi: c’è una Democrazia che tenta di mantenere saldi i rapporti oltreconfine attraverso il metodo diplomatico volto alla risoluzione di un conflitto interno, c’è un soggetto non riconosciuto che attraverso una milizia (con la quale non si sa quanto sia in accordo) utilizza la forza per soverchiare l’ordine e ci sono soggetti terzi che si preparano ad intervenire. Per essere chiari: La Francia di allora, Stato Repubblicano Democratico, scelse di reprimere l’attacco di una milizia interna alla Nazione attraverso la forza ma tentò di mantenere i rapporti diplomatici con le Casate Reali d’Europa che governavano in regime Monarchico; i rivoluzionali francesi interni che da Parigi (per essere precisi, da un comizio al mercato del pesce) lanciarono la milizia a supporto delle milizie autoctone delle altre nazioni, a detta loro, represse dalle Monarchie Assolute ed anelanti di ottenere una carta costituzionale che riconoscesse il Popolo ed i suoi diritti.
Infine le Casate regnanti d’Europa, pronte ad intervenire per reprimere la rivolta, internamente alla loro “proprietà” e, probabilmente, anche all’interno dei confini francesi; la realtà storicamente accertata fu che il 1848 si concluse con la totale trasformazione delle Monarchie Assolute europee in Monarchie Costituzionali ma, nella primavera del 1849, le Costituzioni vennero letteralmente stracciate e l’assolutismo monarchico ristabilito sul vecchio continente ad esclusione della penisola che abitiamo: Carlo Alberto di Savoia non tornò sui suoi passi, poiché lo Statuto Albertino non era frutto di una guerra civile ma di un processo di ascolto da parte sua e di una proposta decisa, ferma ma rispettosa di sua Maestà ma, soprattutto, portata avanti con eleganza e diplomazia. Sua maestà seppe coniugare l’altezza reale alla legittimazione popolare dando così vita, vigore ed unità all’elemento fondativo della Nazione: il Popolo.
Nella sovrapposizione con la questione israelo-palestinese abbiamo un elemento macabramente differente rispetto al processo costituzionalista europeo di cui sopra: la violenza efferata. Perpetrata attraverso ogni mezzo possibile e volta alla distruzione della controparte essa non trova quartiere, non vede innocenti e non bada al coefficiente distruttivo: le armi chirurgiche non esistono. È l’odio razziale a farla da padrone.
Le milizie di ogni parte, regolari o meno, vengono foraggiate da soggetti terzi che si sono dichiarati di parte e, velatamente, pronti ad intervenire in prima persona. La polveriera mediorientale è colma di elementi atti ad incoraggiare lo scontro armato, uno su tutti: la mancanza del Principio di Autodeterminazione dei Popoli.
1- Gli Stati artificiali.
I processi di decolonizzazione del tardo 19° secolo hanno determinato una suddivisione del Medioriente che non ha tenuto conto del ventaglio etnico di popolazioni che, per supponenza, i colonizzatori hanno ritenuto fossero unite sotto la bandiera di una Nazione che nella giuridicità costitutiva non esisteva. Facendo un passo indietro e prendendo in esame l’Afganistan, al termine delle due guerre tra Impero inglese ed Impero russo, furono tracciate linee di confine dividendo gruppi etnici in Stati eterogenei, aventi elementi culturali differenti e governati secondo dettami di una tribù piuttosto che un’altra. Un esempio: la linea Durand, ovvero il confine tra Afganistan e Pakistan che prende il nome da Sir Mortimer Durand, inglese, il quale con matita e righello divise in due il “popolo” sunnita. Le ripercussioni di questa scelta le si ritrovano nella “questione Bin Laden”: fondamentalista islamico sunnita trovò rifugio proprio in Pakistan ad Abottabad, all’insaputa del Governo e protetto dai vertici sunniti.
Sempre storicamente, si deve tenere conto che all’epoca della decolonizzazione, i Nazionalismi ed il sentimento patriottico erano diffusi negli Stati europei e che, altrove, non essendoci alcuna forma giuridico/governativa riconducibile all’emanazione della Natio, tutti si sentirono liberi di imporre la propria in luoghi lontani dal controllo etico ed umano e per motivi puramente venali ed a scopo di lucro.
Fu poi il Presidente Wilson, alla conferenza di Pace di Parigi del 1918 a dare l’enorme contributo che dalla sua formalizzazione - il 14° punto di Wilson - ha permesso la ridefinizione di linee di confine etnico-naturali e riferenti al concetto di Nazione; tutto ciò in Europa ma non altrove: oggi osserviamo inorriditi le conseguenze dello sfacelo del senso di appartenenza sociale, della propensione umana al dialogo ed alla convivenza civile in quanto animale sociale; vediamo tribù e popoli posti gli uni contro gli altri per pezzi di terra in cui, si può affermare, potrebbero vivere entrambi secondo un principio di convivenza civile se pur frutto di anni di distruzione e ricostruzione, di attacchi e rappresaglie, di morti innocenti e di colpevoli d’oltremare.
2- Il concetto di Stato.
Ogni popolo vuole uno Stato, ogni etnia una terra, ogni gruppo sociale delle regole di convivenza civile: il concetto di Nazione inizia qua.
Da sempre, lo spazio geografico che delimita il raggio d’azione del potere governante, sia esso del popolo, di una sua rappresentanza o di un singolo uomo, non ha posto invalicabilità alla sete di potere ed alla ricerca di un suo incremento in una forma che si è evoluta nella storia di pari passo con i metodi e le declinazioni del concetto di “guerra”: essa si definisce come una controversia internazionale che si intende risolvere attraverso l’uso della forza. Le declinazioni di cui accennato sono di facile intuizione se si parte dall’assunto che sono due eserciti regolari a confrontarsi sul campo di battaglia; l’attuale situazione Israelo-Palestinese sovrapponibile al conflitto vietnamita, vede un esercito regolare scontrarsi con una milizia non riconosciuta dal governo legittimo (Palestinese) ne dalla comunità internazionale: la domanda da porsi è dove le milizie irregolari trovino le risorse per alimentare la propria azione. Di converso ci si dovrebbe chiedere come i servizi segreti delle Nazioni avverse non siano stati in grado di recepire i segnali di una preparazione ad un attacco armato che non è di certo avvenuta in poco tempo; riportando la riflessione sul piano concreto del conflitto tra l’esercito regolare israeliano e l’organizzazione di Hamas si comprende con destrezza che il casus belli esce dal confine della Palestina, riportando la nostra riflessione sul piano internazionale dell’estensione del potere di alcune Nazione al di fuori dei propri confini e di come una milizia con un livello di tecnologia decisamente inferiore abbia potuto fare ciò che ha fatto in barba al Mossad ed allo Shin Bet che hanno a disposizione tecnologie di ultima generazione: la mancata presenza sul campo di agenti dei servizi segreti israeliani ha fatto sì che Hamas sia riuscito a preparare in tranquillità il massacro.
Le ultime notizie di stampo politico internazionale, hanno riportato il sostegno economico tecnologico dell’Iran ad Hamas e l’apporto “umano” di Hezbollah; d’altro canto gli Stati Uniti d’America hanno immediatamente manifestato la propria disponibilità a sostegno di Israele; il ginepraio di relazioni internazionali, eserciti regolari e milizie di stampo terroristico s’infittisce e rende complessa una lettura trasparente da parte di chiunque voglia tentare di porre un rimedio umanitario come l’Egitto, al quale è stato chiesto di aprire un varco per i civili in fuga da Gaza ed attraverso le parole del Presidente Al Sisi è stata sottolineata la possibilità che alcuni miliziani di Hamas, confondendosi tra i civili in esodo, possano passare il confine egiziano e darsi alla macchia.
La risoluzione della polveriera palestinese all’interno dei confini di Stato ed attraverso una trattativa bilaterale è da escludere e si rendono necessari interventi di Organizzazioni Internazionali: l’ONU.
3- Le Organizzazioni Internazionali come strumento di pace.
Le Organizzazioni Internazionali nascono dall’accordo di almeno tre Nazioni le quali decidono di perseguire un obiettivo condiviso: ONU, NATO e Patto di Varsavia sono i più conosciuti e nominati poiché vi hanno aderito un numero di Nazioni elevato e perché hanno giocato e giocano un ruolo importante sullo scacchiere internazionale; per quanto riguarda la questione di attualità mediorientale, il riferimento è chiaramente l’ONU, il cui consiglio di sicurezza sta lavorando alacremente proprio in merito ad un intervento diplomatico atto a fermare il conflitto in atto. Proprio poche settimane fa, esso ha votato una risoluzione volta, innanzitutto allo stop all’uso delle armi, poi all’instaurazione di una trattativa diplomatica per ridefinire gli equilibri nella regione palestinese: la risoluzione è stata bocciata per un solo voto: il Consiglio di Sicurezza ONU delibera all’unanimità, quindi, quattordici paesi su quindici erano favorevoli, uno contrario.
Entrare nella stanza dei bottoni del CdS ONU è complesso, quello che si vuole sottolineare è che il concetto di Stato può essere prevaricato e paradossalmente tutelato proprio attraverso enti sovranazionali le cui regole, che sono la fonte primaria del diritto internazionale, intervengono per tutelare i diritti umani, il principio di autodeterminazione dei popoli e tutto ciò che discende da essi, ivi compresi attriti di stampo etnico.
Sono quindi queste entità che possono giocare il ruolo fondamentale nel ginepraio di accordi e disaccordi internazionali; le declinazioni della definizione della parola “guerra” ed i casus belli sono sempre evoluzione:
se fino al 20° secolo la guerra è stato possibile definirla come una controversia internazionale che si risolve attraverso l’uso della forza ed essa può essere d’offesa, di difesa, religiosa ed etnica, nel 21° secolo dobbiamo aggiungere altre declinazioni: guerra economica, guerra informatica ed in ultimo, guerra alla conquista dei minerali preziosi, che non sono più oro ed argento.
4- Ciò di cui non si parla e luoghi dove non si spara.
Le transizioni ecologiche ed energetiche, ormai improcrastinabili, impongono l’approvvigionamento di nuove materie prime, minerali, necessarie alla realizzazione concreta di quella che è la 5° rivoluzione industriale: siamo all’alba di una nuova era e come per le precedenti 4 rivoluzioni industriali, l’accaparramento di siti di estrazione si ottiene con il più vecchio metodo al mondo: la guerra.
La differenza, spaventosa ed inquietante, è che il terreno di scontro bellico non è quello di origine dei materiali e delle tecnologie necessarie ma la guerra per procura distoglie l’attenzione dai reali player e dai reali luoghi d’interesse, sia per l’opinione pubblica che per i probabili molteplici “competitor” che interverrebbero cercando anch’essi di entrare in gioco; tutta la zona dell’Africa subsahariana da dove si estraggono Coltan e Cobalto e sotto controllo della Cina e dei suoi alleati, le zone di passaggio della via della seta, accordo siglato in primis proprio tra Italia e Cina, sono coinvolte nel conflitto Israelo-Palestinese, i Balcani hanno questioni etniche da risolvere e sono anch’essi una porta d’ingresso dei flussi migratori provenienti dal Medioriente.
Infine, l’Italia, l’altra porta d’ingresso dei flussi migratori provenienti dalla zona subsahariana.
Riassumendo e semplificando ma non asserendo con certezza poiché, è sempre da ricordare l’assunto iniziale ovvero che le relazioni internazionali sono conoscibili solo da chi le perpetra e che dal 1848 il ginepraio si è sempre più intricato: in Ucraina, in Palestina, in Libia e nella regione dei Balcani si stanno scontrando potenze esterne che per procura e per “discrezione” non entrano in gioco in prima persona.
Una possibile soluzione sarebbe un’organizzazione internazionale ad-hoc per l’area del mediterraneo, pragmatica, diplomatica e che presidi il territorio senza prevaricare l’autorità delle singole Nazioni; tuttavia, alla base di un processo istituzionale, ci deve essere un fondamento ideologico: la Democrazia.
Essa potrà trovare attuazione nella 5° rivoluzione industriale solo se riusciremo a metabolizzare un principio che abbatterà ogni confine senza bisogno di alcun accordo giuridico: siamo tutti esseri umani che vivono su un pianeta il cui equilibrio è a rischio e che ciò che lo stesso pianeta ci mette a disposizione per attuare le transizioni di cui sopra, serve a tutti, indistintamente.
Sarà quindi una reale cooperazione internazionale che, abbattendo i confini Nazionali, etnici, economici e di potere, farà cessare il fuoco delle fazioni, eliminerà l’odio e permetterà alle culture di ogni luogo di conoscersi, di esplorarsi e di convivere secondo principi di pace e serenità.
È qui che inizia il nuovo viaggio dell’umanità.
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