Innanzitutto, facendo eco a tutti quanti coloro si sono espressi in tal senso nei giorni scorsi, sento anch’io il dovere di ringraziare il Segretario Alessandro Mitola per il suo articolo “Vi chiedo scusa”.
Il ringraziamento va in primo luogo alla volontà di “metterci la faccia” nei confronti degli iscritti e dell’elettorato del PD, cosa che, mi sembra, la dirigenza nazionale non abbia voluto o deciso fare visto e considerato lo spettacolo poco edificante a cui tutti noi abbiamo assistito in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica (personalmente ho trovato veramente disdicevole quanto subito da Romano Prodi, l’unico che, oltre ad essere stato il fondatore e il principale ispiratore di quel percorso di maturazione politica che ha condotto al PD, ha portato il centro-sinistra al governo per poi esserne stato tradito per ben tre volte.
Mi hanno poi stupito gli applausi al discorso del Presidente Napolitano, nel senso che il tono era quello di un j’accuse verso i partiti e, dunque, anche il PD, per la loro incapacità e immobilità nell’affrontare la crisi democratica del Paese. Paradossalmente, come in tanti hanno giustamente sottolineato, i parlamentari applaudivano come se le critiche non li riguardassero direttamente.
Le mie osservazioni partono da una domanda: il PD ha mai veramente avuto un progetto capace di parlare al paese? Quali, pur nella diversità delle opinioni e delle posizioni, i valori comuni che puntellano l’azione politica del PD? Se presenti, questi valori comuni sono condivisi?
A mio avviso, nella sua autoreferenzialità (forse un po’ sovrastimata dai risultati delle primarie, che comunque rimangono un bellissimo, vero ed importante momento di democrazia partecipativa), il PD non è stato in grado di parlare al paese, ossia non tanto di parlare alla cosiddetta “pancia” del paese bensì di proporre un progetto social-democratico di ampio respiro e di lungo periodo (che vada ben oltre gli otto punti sintetizzati per tentare di formare un governo) che dia una prospettiva di come il PD veda il paese non da qui alle prossime elezioni, ma da qui ai prossimi 15/20 anni e che sappia aggregare le energie del paese e degli Italiani (come fu a suo tempo la scelta di aderire all’Euro). Mi rendo conto che ciò non sia semplice, ma se un partito vuole aspirare a governare un paese deve necessariamente operare tale ragionamento in chiave prospettica.
In secondo luogo, il PD non è riuscito, o non è stato interpretato come tale, a farsi artefice di un vero cambiamento, laddove quest’ultimo non consiste tanto nell’incanalare il voto di protesta (cosa che è riuscito benissimo al M5S), ma piuttosto a favorire una rottura e una discontinuità rispetto a comportamenti, metodi e prassi del passato. Ne è un esempio la legge elettorale.
Il PD, nell’arco di tempo speso a sostegno del Governo Monti non è riuscito a lavorare per la riforma dell’attuale legge elettorale forse, sebbene sia una conclusione per me amara, nella convinzione che, ritenendo di essere comunque maggioritario nel paese, la stessa legge elettorale avrebbe consentito al centro-sinistra di guadagnare il governo del paese. I risultati sono, invece, ben noti.
La stessa elezione del Presidente della Repubblica ne è un’ulteriore conferma, seppure ritenga che la scelta di rieleggere il Presidente Napolitano sia stata la cosa più giusta e avveduta da fare vista la situazione che si era venuta a creare.
L’altro errore, per me significativo, che il PD ha commesso è stato quello di considerarsi maggioritario nel paese, o meglio, di ritenere che il programma politico che il partito proponeva fosse quello gradito alla maggioranza degli italiani. Poiché così non è stato, occorre comunque tenere conto che una parte importante degli italiani ha una visione politica diversa e non in sintonia con quella espressa dal PD. Ciò mi fa, però, dire anche che l’intransigenza mostrata da tutte le forze politiche, e pertanto anche dal PD, abbia condotto a questa situazione di stallo. La mancata disponibilità al compromesso e alla mediazione non è utile quando giunge il momento di governare, specie nella situazione di difficoltà e di crisi che il paese sta attraversando.
Da ultimo, vorrei fare un’osservazione conclusiva su un tema che ritengo fondamentale ma che mai è stato veramente spiegato in tutta la sua profondità e complessità. Mi riferisco, nella fattispecie, al tema dell’Europa, che anche durante l’ultima tornata elettorale non è stato posto al centro del programma elettorale del PD.
A tal riguardo, posso ben comprendere che le elezioni si vincano sui temi “nazionali”, ma questi ultimi non devono e non possono essere letti senza tenere conto delle loro dimensioni e implicazioni europee (e viceversa). La mia impressione è che anche il PD abbia smesso di guardare all’Europa come un’opportunità vera, come il contesto in cui l’Italia ha la responsabilità di far sentire il proprio peso e di contribuire non solo allo sviluppo democratico delle Istituzioni comunitarie, bensì anche ad uno sviluppo economico improntato sui valori di solidarietà e sostenibilità.
L’Europa, come l’aveva definita a suo tempo l’allora Ministro del Tesoro Padoa-Schioppa, è una “pazienza attiva”, la cui necessità consiste nel rendere possibili soluzioni che altrimenti i singoli Stati membri, presi singolarmente, non sono in grado di attuare. Questa necessità fu compresa dal nostro paese quando nel 1957 aderì alla Comunità economica europea e che, oggi nel contesto della globalizzazione, è divenuta ancora più evidente ed essenziale.
Il “non spiegare” e il “non parlare” adeguatamente di Europa (specie alle nuove generazioni) e dei valori fondanti su cui si regge tutta l’architettura europea, unitamente a fatto che l’Europa è la prospettiva lungo la quale deve necessariamente muoversi lo sviluppo dell’Italia, crea spazi che inevitabilmente, specie ora con l’attuale crisi economica, sono riempiti di populismi che vedono nell’Europa la causa di ogni male e che considerano il rimanere fuori dall’Europa come la migliore delle soluzioni. Sull’Europa quindi, il PD dovrebbe avere e mostrare una maggiore sensibilità.
Per concludere, e prima ancora dei programmi, il PD deve rifondare se stesso ripartendo dalla definizione e dal consolidamento di un sistema valoriale che poi permetta di redigere un programma di governo e un dialogo con i cittadini che, se da un lato, sappia dare pragmaticamente risposte concrete alle esigenze delle persone (le stesse sono stanche di promesse mai mantenute e delle autoassoluzioni e dalla scarsa propensione all’assunzione delle proprie responsabilità da parte dei vari leader politici), dall’altro, sia in grado di elaborare un progetto, un’idea di sviluppo futuri in cui gli Italiani possano credere.
Un progetto in cui merito, solidarietà, sostenibilità, uguaglianza ed Europa fungano da punti di riferimento.
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