Avevo già visitato le sette stanze della Villa Reale di Monza restaurate. Ma la visita della Villa di venerdì 29 giugno scorso, organizzata dal PD, con la guida espertissima ma non convenzionale di Daniela Pollastri, è stata per me illuminante.
Rivedere il Salone delle Feste mi ha confermato che esso può competere ad armi pari con quelli analoghi di altre ville "imperiali e reali" europee.
Quanto alle sale restaurate, rivederle in concomitanza con la visita ad alcune di quelle degradate (sono in tutto 700!) me le ha fatte considerare un aperitivo di ciò che si potrà gustare quando la Villa sarà integralmente restaurata.
Anche il visitatore più disattento può notare la differenza tra le sale che hanno conservato l'eleganza dello stile asburgico originario, e quelle rimaneggiate dai Savoia, con gli appesantimenti "stile umbertino". E occorre che la gente sappia, contrariamente a ciò che è stata abituata a pensare, che non ci si trova di fronte a una villa sabauda di complemento, ma della “Imperial Regia Villa e Parco di Monza”, asburgica e napoleonica, che i Savoia hanno solo ereditato e poi dismesso in modo ignobile.
Ma determinante, per la conoscenza del monumento e del suo valore, è la visita alla parte abbandonata ormai da oltre un secolo. Condurre le persone, almeno coloro investiti del compito di decidere su di esso, a visitare questi spazi è essenziale perché capiscano:
1. La sua enorme dimensione quantitativa e qualitativa
2. L'inammissibilità di continuare a lasciarlo nelle attuali condizioni di abbandono.
Oltre alle vaste, insospettate e interminabili visuali interne, colpisce il visitatore la vista offerta verso l’esterno dal Belvedere, oggi ridotto a una grandiosa soffitta. Solo di là è possibile apprezzare pienamente la prospettiva verso occidente del Vialone Reale (oggi Viale Cesare Battisti, che percorriamo quotidianamente in macchina senza alcuna consapevolezza del luogo), a cui corrisponde il magnifico cannocchiale verso i Giardini e il Parco dal lato est della Villa.
E solo una visita di questo tipo può consentire di diventare pienamente consapevoli dell’entità del capitale culturale, sociale ed economico che abbiamo sotto il naso, e indirettamente del fatto che possa far gola a molti. Conservarlo e valorizzarlo a vantaggio di tutti, e non di pochi, di chi ha la fortuna di averlo a un tiro di schioppo come di chi può essere attratto dai luoghi più remoti, diventa un obbligo. Prima di tutto per i Monzesi.