La riforma costituzionale, approvata due volte dalle due camere a maggioranza assoluta, che sarà sottoposta in autunno a referendum confermativo, si sta caricando, nel dibattito animato in svolgimento, di significati e valenze ulteriori. Sarà bene, quindi, esaminare spassionatamente che cosa prevede la riforma e perché. Sabino Cassese, giurista e giudice emerito della Corte Costituzionale, spiega sul Corriere della Sera perché la riforma costituzionale che voteremo al referendum di ottobre è un passo avanti necessario che non tradisce affatto lo spirito costituente.
Al suo centro vi sono due parti: riduzione di dimensioni e poteri del Senato; sua trasformazione in organo di rappresentanza di regioni e comuni. C’è allora da chiedersi perché abbandonare il bicameralismo perfetto o paritario e perché ridisegnare poteri e ruolo delle regioni.
Perché lasciare alle nostre spalle un sistema parlamentare binario, che secondo molti serve per rendere più riflessiva la funzione parlamentare, per correggere gli errori che una sola camera può fare? Una ragione c’è. Quando fu approvata la Costituzione, il popolo votava soltanto per il Parlamento nazionale. Nel 1970 fu chiamato a votare anche per i consigli regionali. Nel 1979 fu chiamato a votare anche per il Parlamento europeo. Questi corpi concorrono con il Parlamento nazionale alla formazione delle norme. Svolgono con efficacia la funzione di contrappeso. Si aggiunge a questi il controllo della Corte costituzionale, organo di bilanciamento per eccellenza, in funzione dal 1956. Quindi, il compito originario del Senato — che questo comunque ha svolto molto poco, limitandosi ad essere un doppione o un fattore di ritardo — si è esaurito. Continua a leggere sul sito del Corriere.