Pubblichiamo una Lettera inviata da Roberto Rampi alla Rivista Vorrei.org.Â
"Mi hanno colpito, non sorpreso, le reazioni all'annuncio del Presidente del Consiglio, nel contesto di un intervento che legava insieme investimenti sulla sicurezza e investimenti sulla cultura come strumenti necessariamente congiunti della lotta al terrore, alla paura, e di costruzione di una società più forte di fronte alle sfide a chi questi tempi questo mondo ci chiamano.
Una prima osservazione viene da chi sostiene che si tratti di una misura non strutturale, e che altre siano le priorità nel campo della cultura.
Il tema avrebbe più fondatezza se questo intervento non arrivasse a valle di una serie di misure che hanno visto un'inversione di tendenza sostanziale proprio sulle risorse investite in cultura.
A partire dalla scuola con oltre tre miliardi all'anno, strutturali, passando per le risorse agli enti e agli istituti culturali, ai musei, alle biblioteche, alle risorse per il patrimonio, al fondo unico per lo spettacolo, che tornano a crescere dopo decenni di tagli, con incrementi che vanno dall'8 al 10 percento.
Naturalmente qualcuno osserverà che non basta, e questo è parzialmente vero soprattutto in relazione alla vastità del nostro patrimonio culturale, della rete delle nostre strutture e della riduzione drastica inflitta a questi settori dai governi delle destre. Ma sia la quantità di risorse messe in campo che il segno di queste risorse sono inequivocabili. Aggiungere a queste le risorse destinate alla carta dei consumi farebbe poca differenza quantitativa, ma sarebbe invece un errore perché questa misura, iniziale e sperimentale, prova invece a colmare una lacuna.
Un intervento sui consumi - e conseguentemente sui costumi- culturali, infatti, ha come obiettivo quello di provare a spingere ad una modifica delle abitudini di chi, per storia personale, familiare, economica, non ha l'abitudine di frequentare un teatro, un museo, un cinema, di acquistare libri o musica.
Sostegno, dunque, a chi acquista cultura ma anche a chi realizza cultura, perché queste risorse finiranno nei bilanci degli operatori culturali, attraverso le scelte dei cittadini.
Tanto gli interventi strutturali, che rafforzano meritoriamente l'offerta culturale del Paese, quanto le gratuità spesso previste e utilizzate hanno un limite: raggiungono sempre gli stessi, quelle donne e quegli uomini, quelle ragazze e quei ragazzi che di loro hanno già interesse, vocazione piacere di frequentare i luoghi della cultura.
Un provvedimento come quella della carta dei consumi culturali invece, mettendo in mano di ragazze e ragazze delle risorse spendibili solo in quei settori, orienta, spinge, prova a modificare i loro comportamenti, sostiene gli interventi di costruzione di nuovo pubblico per lo spettacolo dal vivo, di nuovi lettori per i libri, temi che da sempre chi si occupa di questo settore si pone: come aprire, come allargare, come coinvolgere persone nuove.
E in questo senso partire dai diciottenni è significativo perché chi compie diciotto anni, diviene pienamente cittadino e questo significa agganciare l'ingresso nella Città, nella Polis, all'accesso alla cultura.
Nella Grecia antica, culla della democrazia, il cittadino che non frequentava il teatro non era considerato un cittadino.
Restano allora in campo due obiezioni, altrettanto importanti. Quelle di chi, magari a voce bassa, non crede che andare ad un concerto o in un cinema sia cultura, chi abita una visione elitaria della cultura che ha fatto quasi più danni alla cultura di questo Paese di quelli dei suo nemici più espliciti. E magari vorrebbe che lo Stato decidesse quali film, quali concerti, quali libri sono cultura e quali invece non sono degni di questo marchio. Niente di più pericoloso.
Queste osservazioni vanno di pari passo con chi introduce nella discussione i tanti bisogni primari, sociali, e mette in contrapposizione le due misure secondo un'idea antica per cui c'è sempre qualcosa di più essenziale che viene prima degli investimenti in cultura. Non è così. E ce lo insegnarono i nostri nonni, spesso disposti a togliersi letteralmente il pane di bocca per permettere ai loro figli di studiare. Non esiste un contrasto tra questi interventi e solo lavorando in parallelo in campo sociale e culturale si rimuovono le cause profonde della marginalità che attanaglia la vita di tante donne e uomini.
L'emancipazione passa dalla cultura. La comprensione della società passa dalla cultura. La capacità di concepire l'altro passa dalla cultura. La cultura è l'unica arma contro la violenza, contro il razzismo, contro i mali profondi del nostro tempo.
I semi gettati in una giovane mente da uno spettacolo di teatro, da un film, da una canzone o da un racconto sono il motore più potente di mobilità sociale, tanto forte da combattere anche gli ostacoli economici che si incontreranno lungo il cammino.
È la cultura l'unico modo di essere liberi.
Valuteremo gli esiti della sperimentazione, con attenzione. Certo.
Saremo attenti nell'attuazione perché ogni euro arrivi a destinazione.
Ma un'analisi anche di poco meno superficiale di quella prevalente credo possa mettere in luce la rilevanza di un'azione di questo genere.
L'accusa infine che si tratti di un provvedimento elettorale, è francamente irricevibile, irrispettosa dei ragazzi e e delle ragazze italiane.
Tra l'altro si di una smentisce da sola. Infatti il provvedimento è sperimentale per il 2016. Non sono previste elezioni generali in quell'anno. Voteranno probabilmente a metà anno solo alcune città. Per cui anche volendo assumere il punto di vista (a mio giudizio abominevole) di chi vede sempre l'oscura trama perversa dietro ogni provvedimento, questo sarebbe davvero poco azzeccato concentrando le risorse su pochi elettori (solo i diciottenni, e perché allora non meno su almeno tre, quattro fasce d'età), metà dei quali compieranno gli anni dopo il voto e gran parte dei quali non voterà affatto.
Forse proprio la superficialità della discussione che si è sviluppata anche su questo tema deve rafforzarci sull'urgenza di interventi di questa natura".