Attenzione, attenzione, serietà cercasi. La politica ha finito di smarrirla da un pezzo, eppure sembra non volersela riprendere. L’impeachment a Napolitano è solo l’ennesima dimostrazione di come il vero Grande Fratello sia ormai il mondo dei partiti. Nonché dei movimenti, prima che qualcuno si senta chiamato fuori. E, bisogna aggiungere, anche di molti giornali. Uno tra tutti, il Giornale. Le cui trovate hanno però un punto in più rispetto a quelli di molti altri. La comicità. Si ride per non piangere.
Provato il tradimento. Con titoli giganteschi e pomposi, il quotidiano curato da Alessandro Sallusti si diverte a sparare a zero sul malcapitato di turno. Che, in questo caso, è Giorgio Napolitano. Il Presidente della Repubblica, proprio lui. L’accusa? Complotto. Così, in un mondo fiabesco fatto di colloqui misteriosi, personaggi occulti, banchieri mistificatori, Europa cattivona e qualche croce all’ingiù, si disegna un Re Giorgio in veste di massone, intento a fare lo sgambetto a un caro sant’uomo. Silvio Berlusconi.
Al di là delle prese di posizione di certi “giornalisti” sarebbe interessante scoprire cosa c’è di vero in tutta questa vicenda. Sicuramente quanto riporta Alan Friedman è corretto. I colloqui, le voci circolanti, l’idea di Monti premier. Il problema è che, di fronte a fatti accertati, l’interpretazione è distorta. Mano alla storia, per prima cosa. A giugno 2011 arrivano i primi avvisi dall’Europa: ridurre il deficit. Le rassicurazioni di Tremonti e del Presidente del Consiglio non risultano credibili e da luglio si scatena la tempesta sui mercati. Nel giro di un mese lo Spread sale di 128 punti. Il 5 agosto una lettera della Bce fa nuove richieste al governo italiano. Incredibile ma vero, il Parlamento resta aperto ad agosto. L’assenza di ferie fa intuire al meglio la gravità della situazione. A settembre i tempi si fanno sempre più stretti: la “manovra dei sacrifici” non permette di scampare né alla declassazione delle agenzie di rating né alla derisione degli altri capi di governo europei. A fine ottobre, lo Spread riprende a volare di fronte alla manifesta incapacità dell’esecutivo a far fronte alla situazione. Ma è solo in novembre che arriva il colpo di grazia, quello che spinge Berlusconi a rassegnare le dimissioni. Un evento di fronte al quale nessun uomo di Stato con a cuore il suo paese potrebbe rimanere inerte. Il tracollo delle proprie azioni in Borsa.
Così, il 9 novembre entra in scena Mario Monti: senatore a vita. Il 16 giura come Presidente del Consiglio dando inizio a uno dei periodi più duri della storia recente. Sullo sfondo l’operato di Giorgio Napolitano. Il Presidente della Repubblica, come da suo dovere di prassi costituzionale, ha svolto le consultazioni. Un atto dovuto sia per l’impossibilità di portare il paese al voto, sia per la necessità di dare risposte al mondo. Che tali colloqui abbiano anticipato di mesi la caduta del governo Berlusconi non deve stupire, né tantomeno scandalizzare. In primis, il governo poteva cadere ad agosto esattamente come a settembre esattamente come a novembre. Il crollo Mediaset ha una data precisa, certo, ma questo non significa che prima l’esecutivo godesse di ottima salute. Anzi, era piuttosto un malato terminale: morte sicura, giorno insicuro. Secondariamente, nello stesso libro di Friedman è riportato un dato importante. Che scongiura l’ipotesi di complotto. In tutti i passaggi riportati, la caduta di Berlusconi è considerata come eventuale e mai come necessaria. Insomma, nessuna volontà di fare sgambetti a Silvio. Piuttosto, quella di Napolitano fu volontà di non lasciare, al momento fatidico, il paese nel baratro. Horror vacui.
Allora perché mai inscenare questo mattatoio? Molti lo fanno per ignoranza. Chi non è in grado di interpretare i fatti e sa recitare la sola parte della pecora accoglie il libro di Friedman come Vangelo. Purtroppo, però, ogni gregge ha un pastore. Palese o occulto che sia, questo c’è. Nella vicenda impeachmentnon c’è un nome preciso. Ma un fine sì, eccome. La palude. Riportare la politica nella sua condizione di perenne stallo da cui non uscirà nemmeno questa volta, per quanto rischi di farlo. Se il fine è il caos tutto è concesso e il nemico non deve essere esterno o lontano. Come ben insegnano gli anni ’60, il nemico deve essere la nazione stessa. E chi, meglio del Presidente della Repubblica, impersona quel poco senso d’appartenenza rimasto?