{jcomments on}Nel suo precedente intervento, Giacomo Correale coglie il punto nevralgico del problema quando attribuisce al populismo dilagante una delle cause principali del deterioramento della nostra politica, se non addirittura la causa. Ma non lo seguo più quando propone un’evoluzione dei partiti verso un associazionismo più aperto alla società. Intendiamoci, io sono d’accordo che una maggiore partecipazione della società civile alla vita politica finirebbe per migliorarla, anche in maniera decisiva. Ma non credo che siano stati volontariamente i partiti a limitare questa partecipazione. Temo che, purtroppo, sia l’indole naturale degli italiani che li tiene lontani dalla politica.
I più considerano la politica come una sovrastruttura di cui non si può fare a meno, ma che spetti ad altri occuparsene, non a loro. Ma non rinunciano però a lamentarsene e protestare quando, come oggi, la politica ha evidenti difficoltà a risolvere i problemi che essa stessa ha creato, e allora se ne dissociano apertamente. Anzi, in una certa misura, trovano in queste occasioni una giustificazione per essersi tenuti lontani dalla politica. Ma nella realtà, se volessero, tutti – credo – troverebbero le occasioni per occuparsi di politica.
Io tendo ad attribuire il problema del populismo in primo luogo ai responsabili della nostra politica, ed in secondo luogo alla legge elettorale maggioritaria che abbiamo ormai adottato.
I responsabili di un partito politico – almeno loro – dovrebbero concepire, quando sono eletti alla guida del paese, la politica come una missione, anziché, come ormai quasi sempre accade, come la conquista di una posizione di potere – per sé stessi o per il loro partito - da difendere ad ogni costo, anche se ciò mette in difficoltà il paese di cui sono al governo. Quindi – per inciso – dovremmo essere noi ad eleggere oi aristoi alla guida del paese, invece di qualcuno che può procurarci vantaggi personali, anche se ciò costa trascurare dei problemi generali. Oggi è stata addirittura cancellata la prassi, che valeva invece ai tempi della prima repubblica, secondo la quale la prima parte di una legislatura veniva dedicata, dal governo eletto, a “mettere a posto le cose”. Cioè a correggere le cose che non andavano bene, vuoi perché il governo precedente aveva governato male, vuoi perché eventi vari imponevano una correzione di rotta. Mentre, per far dimenticare i sacrifici chiesti durante la prima, la seconda parte si arrendeva al populismo, nella speranza che così facendo gli eletti venissero riconfermati.
Oggi invece – e Berlusconi è stato il campione di questo atteggiamento - il governo eletto si comporta da subito come se le elezioni fossero imminenti, e il populismo dilaga per l’intera durata della legislatura. Nessuna meraviglia quindi che i problemi si incancreniscano – nessuno li affronta – e che alla fine si finisca in un vicolo cieco, com’è appunto accaduto a Berlusconi ed all’intero paese. E si rende necessario – vedi governo Monti – a ricorrere ad un governo “tecnico”. Ma sotto questa dizione si nasconde – quasi a non voler ammetterlo – quella più corretta di governo “senza interessi elettorali”, che come tale si dedica a prendere – spesso in condizioni di emergenza, come sta appunto accadendo - le decisioni che il populismo del precedente governo aveva essenzialmente bloccato.
La legge elettorale fortemente maggioritaria poi – assieme agli altri innegabili vantaggi – ha il difetto importante di attribuire un potere decisivo al voto marginale, il che rende spasmodica, da parte di chi detiene il poter o vuole accedere ad esso, la lotta al singolo voto di vantaggio. E ciò, ancora una volta, invoglia agli atteggiamenti populistici.
Scegliere un uomo come Monti per un esecutivo “politico”, e quindi ortodosso da tutti i punti di vista, penso – e credo di non sbagliare - sarebbe quasi certamente una scelta con pochi rischi. Il che, in altre parole, vuol dire che lo considero uno dei potenziali “aristoi” di cui disponiamo. E questo vale anche con l’assetto bipolare di oggi. Del resto questo fu vero anche – ma perché in questi casi vengono in mente solo persone di centro sinistra? – per Prodi e per Ciampi. Quindi si potrebbe sostenere non essere indispensabile attenuare il bipolarismo esasperato nel quale oggi ci troviamo. Ma è vero tuttavia che il bipolarismo che abbiamo aumenta considerevolmente la probabilità che emergano e si impogano populisti senza scrupoli “a la Berlusconi”. E’ per questo che dovremmo modificarlo.
Come? Qui mi fermo: non ho le idee chiare. Ma penso che su questo tema si debba riflettere attentamente.