E’è stata una settimana cruciale per il futuro dell’Unione Europea e dell’euro: il discorso di Barroso al Parlamento Europeo sullo Stato dell’Unione, l’approvazione, da parte del Parlamento Europeo del cosiddetto “Six Pack” e l’approvazione, da parte del Parlamento tedesco del EFSF, chiamato sbrigativamente Fondo Salva Stati.
Spiace constatare che, come sempre, la stampa italiana si sofferma poco su questi argomenti, a differenza di importanti testate come Le Monde, il Guardian, l’Indipendent, e il Financial Times che oggi dedicano importanti articoli e approfondimenti proprio sulle decisioni cruciali assunte in questi giorni a livello europeo, illustrandone punti di forza e limiti.
La partita che si sta giocando a livello europeo è importante per due questioni di fondo che potremmo così riassumere:
- come fare a dar vita ad un vero governo europeo, che metta le Istituzioni nella condizione di decidere e adottare provvedimenti in tempi utili, senza sottostare ai “calcoli” politici di questo o quello Stato membro;
- come risolvere il conflitto in atto su chi avrà il “potere di gestione” di questa crisi dell’euro, che poi è anche una crisi che riguarda i fondamenti dell’Europa stessa e, al limite, della sua stessa esistenza.
In realtà questi due grandi problemi aperti non sono altro che due facce della stessa medaglia: l’Unione Europea vuole davvero essere un’istituzione con veri poteri decisionali o vuole continuare a vivacchiare tra spinte e controspinte degli Stati nazionali?
Ancora: vuole avere una Commissione, magari con un Presidente eletto dai cittadini, che possa assumere su di sé il potere delle decisioni di governo, con tempestività e a maggioranza?
Questo è il nodo cruciale che si può cominciare a risolvere anche nell’attuale quadro dei Trattati, superando, con la volontà politica, i vincoli che gli attuali Trattati pongono, avviando anche un cantiere di riforma degli stessi.
Barroso nel suo discorso di mercoledì sullo Stato dell’Unione (che vi alleghiamo) è stato più coraggioso del solito e ha esclamato a gran voce la necessità, anzi l'indispensabilità di superare l'approccio attuale, cioè il metodo degli accordi intergovernativi o peggio ancora degli accordi di due capi di Stato,Merkel - Sarkozy, che tentano di passare le loro “ricette” agli altri Governi, schiacciando anche il ruolo del Consiglio, la sede dei Governi, approfittando della pallida figura di Van Rompuy.
Questo metodo attuale ci fa arretrare anche rispetto al Trattato di Lisbona che, al contrario, andrebbe reso più forte imboccando chiaramente la strada del metodo comunitario, superando il diritto di veto e coinvolgendo il Parlamento, voce democratica dei cittadini d'Europa.
Mercoledì nell’Aula di Strasburgo si è percepita una diffusa consapevolezza in tutti i gruppi politici che la crisi economica, sociale e finanziaria rischia di toccare l'essenza stessa dell'Europa: dobbiamo dunque decidere oggi se vogliamo salvare l'Europa e quindi l'unità, l'integrazione, la moneta e la prospettiva di un futuro per i giovani.
Il Parlamento europeo ha poi approvato un pacchetto di norme (il pacchetto governance economica o six pack) che è la traduzione in atti legislativi del Patto Euro plus o Patto di stabilità e di crescita rivisto.
Questo pacchetto rinforzerà la governance economica nell'UE, in particolare stabilendo regole di sorveglianza finanziaria sugli Stati memrbi, evitando che i governi nazionali possano ignorare le raccomandazioni della Commissione di correggere i bilanci e per affrontare in maniera più tempestiva i disequilibri economici.
Il pacchetto prevede nuove sanzioni per gli Stati, in particolare in caso di frode statistica e maggiori poteri alla Commissione nello svolgere indagini in loco negli Stati membri.
Per i disequilibri macroeconomici, il pacchetto prevede una serie di indicatori economici più precisi e obbliga la Commissione a prendere in considerazione anche il surplus di bilancio, come quello della Germania, come ragione di disequilibrio.
Devo subito dichiarare che per noi S&D il Six Pack è stato un obiettivo mancato.
Come gruppo S&D abbiamo dato infatti un voto negativo a questo pacchetto di proposte proprio perché vogliamo più governance e più politiche economiche e fiscali coordinate a livello europeo. Il gruppo dei Socialisti e Democratici da tempo auspica che la zona euro e l'intera Europa si dotino, anche integrando i Trattati, di strumenti per prevenire situazioni critiche, come quella che stiamo attraversando, attraverso una sorveglianza sui bilanci che si accompagni a una spinta alla crescita e attraverso misure per superare gli squilibri macroeconomici tra gli Stati membri, che sono una delle fonti di tensione finanziaria, di debolezza e di possibile contagio. I sei provvedimenti del pacchetto avrebbero potuto essere l'occasione per fare ora e bene queste scelte, ma la logica che é prevalsa e, che ha guidato il lavoro della maggioranza del Parlamento e il negoziato con il Consiglio Europeo, é stata quella del rigore, del controllo fine a se stesso, ma l'esperienza ci insegna che questo approccio, puramente di austerità e di controllo di bilancio, impoverisce l'economia, impedisce la crescita e porta alla recessione e a maggior disagio sociale. (vedi documento del gruppo S&D
Come ha detto Barroso è necessario che sia la Commissione a prendere le redini del governo economico europeo, garantendo una comune fiscalità europea ordinaria, varando inoltre provvedimenti straordinari, come la Tassa sulle Transazioni Finanziarie e gli Eurobond per garantire la possibilità di attuare la strategia Europa 2020 e le politiche per la competitività, l’innovazione e l’occupazione.
In questo quadro generale possiamo manifestare un cauto ottimismo rispetto alle drammatiche difficoltà e all’impotenza istituzionale di fine agosto, anche se la situazione di crisi e la precarietà permanente della Grecia richiedono di tenere la guardia dell’attenzione e dell’impegno molto alta.
Particolare criticità rappresenta anche il nostro Paese che, anche agli occhi degli Europei rimane “sorvegliato speciale” per la gravità del debito e per la scarsa attendibilità che offre.
Il cauto ottimismo cui facevo cenno nasce oltre che dalla speranza che l’Europa decida di passare dal governo degli Stati membri al governo comunitario, anche dalla decisione della Germania, così almeno sembra, di assumere finalmente la responsabilità che le compete di salvare l’Europa, anche assumendosene il peso maggiore. Insomma di fare il suo dovere come le chiede Monti nel bell’articolo che vi allego.
In questa direzione va l’approvazione dell’EFSF da parte della Germania.
Adesso lo scoglio rimane l’approvazione da parte della Slovacchia, dove c’è un Parlamento molto refrattario.
Questo faticoso iter di approvazione da parte dei 17 Parlamenti della zona euro è ancora una volta la dimostrazione pratica di quanto dicevamo: le attuali regole istituzionali non permettono di affrontare i problemi che la crisi sta ponendo, in questi casi la tempestività conta quanto il contenuto.
E’ pur vero che dovremmo essere grati a Trichet che si è assunto la responsabilità, di fronte a queste lungaggini, di fare delle forzature rispetto alle regole della BCE e di intervenire con misure straordinarie per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani dei Paesi più esposti, ma è evidente che anche questa è stata una soluzione emergenziale e che occorre un vero rafforzamento delle istituzioni democratiche.
Il problema, infatti, è istituzionale: riguarda le nuove regole di cui l’Europa ha un estremo bisogno e si incrocia con quello politico, cioè con la volontà dei leaders europei (ammesso che vi siano autentici leaders in questo momento storico in Europa) di fare il loro dovere.
L’Europa non può più esimersi dal rendere le sue istituzioni più capaci di fare quelle scelte che oggi troppo lentamente vengono portate avanti e di avere gli strumenti, come una tassazione ordinaria comune, i Project Bond, la tassa sulle transazioni finanziarie e un Fondo Salva Stati permanente, per superare, con la forza del diritto comunitario e dell'interesse europeo, le visioni nazionali, gli interessi locali e la “cecità” di chi pensa che con la paura e il ritorno alle frontiere e alle “piccole patrie” si possa avere una prospettiva di futuro nel mondo globale.