C’è voluta la ricorrenza centenaria della prima Guerra Mondiale con i suoi eventi commemorativi per capire che quello che avevamo studiato a scuola era solo una piccola parte della tragedia che ha sconvolto l’Europa, ma non solo, nei primi anni del cosiddetto secolo breve.
Noi eravamo concentrati sulle operazioni svoltesi alle nostre frontiere nordorientali, quelle in prossimità delle città e territori che volevamo (ri)conquistare e quindi ci erano familiari nomi di località, di fiumi, di montagne etc di quell’area. In seguito, aiutati anche da opere cinematografiche (”Orizzonti di gloria” di Kubrik) e letterarie (“Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Remarque) la nostra conoscenza si è allargata, appunto, al fronte occidentale dove francesi e inglesi si sono scontrati con i tedeschi lungo la frontiera franco-tedesca, ma poco abbiamo saputo di quel che accadeva dall’altra parte, ad est, ed è sorprendente perché quest’area ha subito i maggiori cambiamenti geo-politici rispetto al periodo pre guerra, basti pensare alla rivoluzione russa!
Paolo Rumiz (giornalista di Repubblica e scrittore) , giunto a Monza su invito delle associazioni che organizzano gli eventi per il centenario, in primis Novaluna, ANPI e Aned, ha in un certo senso colmato questa lacuna, ma soprattutto ha offerto degli spunti, delle chiavi di lettura sulla 1° guerra mondiale degni di essere approfonditi per una migliore comprensione della nostra storia ma anche del nostro presente. Essendo di Trieste, città che è stata il principale porto dell’impero austroungarico, situata in un crocevia di culture, italiana, tedesca, slava, Rumiz ha una particolare sensibilità nei confronti delle vicende, sia storiche che attuali, che si svolgono oltre il (suo) confine, I suoi articoli e i suoi libri lo testimoniano.
I triestini nel 1914, anno d’inizio della guerra, vengono arruolati nell’esercito imperiale (e così i trentini, istriani e dalmati), uno di loro è il nonno di Rumiz. Vengono subito impiegati nei fronti aperti dell’est, contro la Serbia e contro la Russia. Per incontrare il nemico dovranno percorrere le sterminate pianure della Galizia, immensa regione tra Slovacchia, Polonia e Ucraina attuali, oppure raggiungere i monti Carpazi, in Romania.
La maggior parte di loro, volente o nolente, rimarrà fedele alla divisa austriaca anche dopo l’ingresso in guerra dell’Italia, e questo, alla fine della guerra, diventerà una verità imbarazzante, specie agli occhi del fascismo, e quindi da nascondere.
Di loro, soldati dimenticati, si parla nel libro “Come i cavalli che dormono in piedi” che Rumiz ha voluto presentare nella serata di Monza. Il libro, come è nello stile dello scrittore, è un reportage di viaggio in luoghi reali o dello spirito dove Rumiz ha voluto “sentire” le sensazioni di quei soldati, per lo più contadini strappati alle loro terre, il freddo, la fame, le veglie forzate, come i cavali che dormono in piedi, appunto. (Il riferimento ai cavalli è innanzitutto un omaggio agli animali, innocenti, in guerra, e tanto più significativo in quanto nella 1.a guerra mondiale vennero utilizzati massicciamente, specie nelle pianure dell’Europa orientale),
Nel suo viaggio Rumiz incontrerà tante testimonianze del passato, sia in territori aperti, come i cimiteri di guerra dove leggerà con emozione cognomi tipici triestini, sia tra archivi e studiosi locali. Incontrerà anche tracce di tragedie più recenti, come i cimiteri di ebrei uccisi durante la seconda guerra, e, ahimè, un senso di insicurezza e di provvisorietà in questa parte di Europa (dopo i Balcani l’Ucraina?) che pone preoccupati interrogativi. Con i suoi interlocutori Rumiz si è posto il problema dell’Europa: era meglio prima, con gli imperi multinazionali come l’Austria-Ungheria (nel 1914 la mobilitazione fu diffusa in 10 lingue, ricorda Rumiz) o adesso, con la CEE dove si manifesta un nazionalismo sempre più diffuso ed egoista? Il fatto di porsi questa domanda è già indicativo.
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