"Un evento catastrofico per tutta l'Europa: non solo per i vinti". Questa frase può essere la sintesi della conferenza del Professor Giovanni Sabbatucci, già ordinario di Storia Contemporanea alla Sapienza di Roma, sul tema "Grande guerra, guerra totale". Il Binario 7 di Monza ha ospitato giovedì scorso questa proposta di riflessione promossa dalle Associazioni Novaluna, Anpi e Museo Etnologico di Monza e della Brianza e accolta da un folto pubblico.
L'analisi dello studioso prende le mosse dal significato dell'aggettivo mondiale o grande che da sempre accompagna il conflitto 1914-1918: "una guerra combattuta contemporaneamente in tutti i continenti da forze provenienti da tutti i continenti". Una situazione che noi, uomini del XXI secolo, per nostra fortuna, facciamo fatica anche solo ad immaginare.
Dai tempi di scuola ricordiamo almeno i nomi di guerre più lunghe, come la guerra dei 7 o dei 30 anni, ma l'eccezionalità di questo evento risiede nella continuità impressionante dei combattimenti. Nelle previsioni dei contendenti, doveva essere un conflitto da concludere - e vincere - velocemente, sfruttando le consuete strategie utilizzate per mantenere e migliorare le posizioni di potenza: discesa in campo, grande scontro frontale, armistizio.
Invece accadde che il coinvolgimento dell'esercito di leva, modalità mai sperimentata prima, e le nuove micidiali armi, efficaci da grande distanza, come mitragliatrici, bombe e gas, trasformarono gli attacchi in massacri. Non restò che difendersi, scavando trincee, ed ebbe inizio una devastante guerra di logoramento, dalla quale "sarebbe uscito vincitore chi avesse resistito un giorno di più". Una situazione senza sbocco per nessuna delle nazioni in campo, in ognuna delle quali la classe politica aveva promesso ai propri elettori che dalla guerra e dalla vittoria sarebbe scaturito un sicuro benessere.
E fu guerra totale, perché coinvolse non solo gli uomini in armi, ma anche la popolazione. Venne stravolto il modo di vivere, di pensare, di lavorare.
Tra il 1910 e il 1920 ci fu un radicale mutamento in tutti gli aspetti principali del quotidiano, dovuto anche alla grande mobilitazione industriale, necessaria per garantire armi, forniture di mezzi e di cibo per l'esercito e il popolo, con l'utilizzo in fabbrica anche di donne e di giovanissimi.
La guerra fu occasione per ingenti profitti per molte aziende, di emancipazione e maggiore autonomia per alcune categorie di persone, ma fu soprattutto causa di dissesto demografico e psicologico provocato dal numero dei morti, non solo causati dai combattimenti, ma anche dalla denutrizione e dalla terribile "spagnola".
Tutte le nazioni uscirono profondamente esaurite da questi anni terribili e collassarono una dopo l'altra, prostrate dagli enormi debiti contratti per le spese di guerra.
Germania ed Italia furono devastate, Francia e Inghilterra persero il loro status di grandi potenze e, al loro posto, sulla scena internazionale, si imposero gli Stati Uniti, i "grandi creditori" di tutte le nazioni in guerra.
Questa debolezza diffusa le convincerà a mettere in comune le risorse e ad avviare un lungo e faticoso percorso di integrazione che porterà, dopo il secondo conflitto mondiale, alla nascita dell'Europa che conosciamo e che, pur con tutti i suoi limiti, apprezziamo.
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