"Torneranno i prati" è il film di Ermanno Olmi in programmazione anche a Monza: il buio del cinema diventa la penombra della postazione dei soldati, con i quali possiamo condividere un'ora e mezza di vita e di morte sull'Altopiano di Asiago.
Il film è tutto in una notte di neve del 1917, quando la quotidianità del freddo atroce, dei riti della posta e del rancio viene sconvolta da un ordine insensato - raggiungere un osservatorio esposto - che è una condanna a morte certa.
Tra i soldati, piegati dalle notti tormentate dagli incubi della febbre e dall'eco dei mortai, c'è chi esce e viene istantaneamente falciato, chi sceglie di darsi la morte con il proprio fucile e chi si strappa le mostrine, piangendo di dolore, ma soprattutto di rabbia.
Sotto i pastrani e gli strati di coperte, gli uomini non si distinguono gli uni dagli altri: esiste solo IL SOLDATO, con quei pochi gesti che gli consentono di sopravvivere.
In trincea si viene chiamati con il proprio nome solo in occasione della distribuzione della posta e nel momento della sepoltura in un sacco.
Esseri senza volto, come il nemico che si intuisce a pochi metri di distanza, ma che non si vede mai: si sente soltanto il suo trapano che scava una contro-galleria, attraverso la roccia.
Il nemico non si vede, ma si sente soltanto anche nel momento dell'attacco, quando tutto diventa esplosione assordante, crollo che non lascia scampo e poi silenzio inquietante.
In questo orrore, per la vedetta, una volpe abitudinaria diventa un'amica alla quale sorridere, mentre un topino intraprendente è un compagno, silenzioso al pari degli umani, con il quale passare i momenti che precedono il sonno.
La natura dei piccoli animali, della neve che brilla sotto la luna, del larice d'oro è l'unica nota di colore e di vitalità nel vuoto di senso e nel grigiore della vita di trincea.
Dopo soltanto un'ora lì dentro, anche il giovanissimo sergente, diligente e ciecamente obbediente, in una lettera bagnata di lacrime per la madre, si confessa irrimediabilmente invecchiato.
Ermanno Olmi racconta senza retorica l'insensatezza della guerra, di ogni guerra, passata, presente e futura, dopo aver girato per 7 settimane nell'inverno gelido dell'Altopiano di Asiago.
Il regista di origine bergamasca vive lì da molti dei suoi 83 anni e sa che in quelle valli i prati citati nel titolo del film sono tornati, a coprire i resti delle costruzioni belliche e spesso anche degli uomini.
Mai però si deve coprire la memoria del nostro passato e della guerra, "una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai".
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