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Sempre più in salita la strada del ddl Gasparri. Bersani: "Ritirino quelle norme". Finocchiaro: "No all'immunità parlamentare"

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“Sembrava quasi fatta, l’avvocato Ghedini vedeva sempre più lontane le toghe rosse milanesi e sempre più alla portata la riforma sul processo breve…”. L’ultimo capitolo della saga sulla giustizia e sui “problemini” giudiziari del premier inizia così. Come in tutte le favole che si rispettino, però, c’è sempre un’armata di cattivi, pronti a mettersi sulla strada del “Cavaliere” e del suo fido scudiero. Il Partito Democratico, che promette “battaglia in parlamento”, l’Associazione nazionale magistrati che parla di “tragedia per il mondo del diritto”, lo scrittore di Gomorra Roberto Saviano che in un appello chiede il ritiro immediato dl ddl. Il segretario del PD, Pier Luigi Bersani definisce il ddl Gasparri "non migliorabile, si tratta di un testo che non riconosce l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge". E questo "è un tema insuperabile". L'invito e' quello di " ritirare quelle norme". Pier Luigi Bersani lo dice chiaramente, le disposizioni sul processo breve proposte dal Pdl devono sparire dal tavolo per ipotizzare un dialogo sulla giustizia. "Abbiamo proposto un pacchetto di riforme sul quale siamo pronti a dare il nostro voto domani mattina - ha detto il segretario del Pd a margine della Direzione del partito-. Abbiamo bisogno di fare alcune riforme, anche della giustizia. Se si potesse discutere, siamo a disposizione. Ma non su norme che sono inaccettabili. L'invito e' a ritirare quelle norme. Partiamo dalle esigenze dei cittadini, da un afficientamento della giustizia. Su queste riforme, noi ci siamo".

Alla maggioranza il leader democratico chiede: "Si rende conto che gli italiani cominciano a pensare 'siamo sempre sui problemi suoi e non sui problemi degli italiani'? La maggioranza si rende conto di tutto ciò? Sono anni che ormai è così. Ci deve essere un soprassalto di responsabilità" perché "il paese ha altri problemi, sennò si crea un muro di gomma tra società civile e la politica. E questo non è una buona cosa".

In fondo sono sempre i soliti, avrà pensato il premier c’era da aspettarselo. Quello che Silvio Berlusconi e il suo legale non potevano immaginare era l’ammutinamento dei valorosi pidiellini.

A quanto pare infatti risolvere i problemi del premier non è la massima aspirazione né del presidente della Camera Gianfranco Fini, nè dei parlamentari a lui più vicini. L’accordo, già in bilico, fra il premier e il suo ex delfino stenta dinnanzi all’audace richiesta di depennare dalla lista dei reati che fanno eccezione alla prescrizione di due anni, quello di immigrazione clandestina. I finiani sono irremovibili. E non sono gli unici. Granitica anche la posizione della Lega Nord, che minaccia di votare contro il ddl nel caso si decidesse di graziare gli immigrati. Persino l'impavido avvocato Gaetano Pecorella, sempre accanto al suo Silvio, domenica ha parlato di riforma "demagogica", "populista" e "inadeguata". Insomma da una parte e dell’altra, uomini tutti d’un pezzo, gente che non le manda a dire…peccato che, almeno in teoria, dovrebbero far parte tutti di una stessa coalizione, che magari (sempre in via ipotetica) dovrebbe trovarsi d’accordo quantomeno sulle riforme vitali com’è quella sulla giustizia. Ecco, questo sembra davvero uno scenario di fantasia, degno di una favola.

Ormai l’ha capito anche il cavaliere che, sempre più nervoso, ricorre alle minacce. Se non si allineeranno tutti spontaneamente alla posizione del capo, alla fine lui dovrà, con grande rammarico, ricorrere alla fiducia. Ma non è tutto, a questo punto non sarebbe così inverosimile prospettare le elezioni anticipate, che dimostrino che lui è il solo, l’unico, il vero “unto dal Signore”, il più grande presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni, il più amato dagli italiani. In fondo lui non ha bisogno di una coalizione, non ha bisogno di un partito, non ha bisogno del parlamento, e alla fine forse capirà di non aver bisogno neanche degli italiani.

Il ministro Brunetta capisce l’ansia del capo, asciuga le sue lacrime e rende espliciti i suoi pensieri. Ai riottosi colleghi di partito evoca "il baratro" delle elezioni anticipate a marzo dal momento che "siamo in presenza del rischio di crisi un giorno sì e un giorno no, e di fibrillazioni un giorno sì e l'altro pure". E il vicepresidente dei deputati pdl Napoli rincara, spiegando a tutti i colleghi il metodo democratico targato Pdl: “Una volta decisa la linea a quella devono tutti attenersi”. E la linea la sceglie sempre il capo!

A tutto questo ovviamente si aggiunge l’appello pubblicato su Repubblica da Roberto Saviano, lo scrittore che ha denunciato nel suo Gomorra i traffici della Camorra e che da anni vive sotto scorta. “Signor Presidente del Consiglio – scrive Saviano - io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Le chiedo: ritiri la legge sul "processo breve" e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio è che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei.
Con il "processo breve" saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce è condiviso da tutti. Ma l'unico modo per accorciare i tempi è mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare così anche la speranza di chi da anni attende giustizia.
Ritiri la legge sul processo breve. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. E' una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avrà più speranze di giustizia.


La capogruppo PD al Senato, Anna Finocchiaro taglia corto: "Il presidente del Consiglio adesso vada a processo. Non possono esserci scialuppe di salvataggio per lui. Non gliele costruiremo certo noi. Dice no anche all'ipotesi di una riproposizione del lodo Alfano per via costituzionale, messa in campo dall’Udc: "Discorso chiuso. In qualsiasi forma, il lodo resterebbe sempre incostituzionale". La Finocchiaro chiude anche alla soluzione di reintrodurre l'immunità parlamentare: "E' un istituto tipico delle democrazie liberali. Ma l'uso indiscriminato che se ne è fatto in Italia ha condotto alla sua abrogazione nei primi anni Novanta. Spiace, ma oggi non abbiamo alcuna garanzia che se ne faccia un uso più appropriato. Facciamo le cose per bene, niente scorciatoie per consentire a qualcuno di sfuggire ai suoi processi. Rispolverare sempre il valore della governabilità, del presidente che non può essere distratto da problemi giudiziari, è da sistema totalitario". La presidente torna anche a rispondere a chi, dalla maggioranza, accusa il Pd di aver proposto una legge simile al processo breve nella scorsa legislatura: "Sono molto nervosi. Comprensibile. Non sanno di che parlano", insiste, ribadendo che il ddl presentato nel 2006 dall'Ulivo prevedeva "dodici anni" per la durata di processi, "altro che sei anni".

A questo punto sembra sempre più difficile che alla fine della storia si possa leggere: "...e vissero felici e contenti".


Iv.Gia

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