E se avesse avuto ragione la Thatcher? Se la sua cura da cavallo somministrata all’economia (o meglio alla società tutta intera) inglese dagli anni ’80 in avanti fosse l’unica soluzione per arrestarne il declino e riprendere a progredire?
Allora l’icona negativa (insieme a Ronald Reagan) dei militanti di sinistra di tutto il mondo dovrebbe essere riconsiderata e ri-valutata con attenzione.
Antonio Caprarica, che “sogna un’Italia seria”, come scrive nelle dediche sulle copie del suo libro, da circa 15 anni corrispondente della Rai da Londra, ha avuto la possibilità di osservare la società inglese durante e soprattutto dopo la “cura” della Lady di Ferro e quelle domande se le è poste.
Di più, non ha potuto evitare di considerare le analogie con la realtà italiana degli ultimi anni. Ospite di Novaluna, che lo ha invitato a Monza per presentare il suo ultimo libro (Ci vorrebbe una Thatcher – Ed. Sperling &Kupfer), nello spazio riservato all’incontro nella libreria Libri & Libri, ha descritto le vicende che ha potuto osservare, e raccontare, da vicino.
Il suo atteggiamento, all’inizio fortemente critico, anche a seguito della sua formazione culturale (è stato commentatore politico per l’Unità e condirettore di Paese Sera), si è progressivamente modificato sia nei confronti della persona (che per affermare le proprie idee non ha esitato ad andare contro il suo stesso partito) sia delle sue riforme, una volta che avevano dispiegato i loro effetti (ci sono voluti anni per cambiare le mentalità!).
Caprarica ha ripercorso quegli anni soffermandosi sulle situazioni e i fatti più rilevanti.
Alla fine degli anni ’70 la Gran Bretagna è un Paese considerato il «grande malato d’Europa»: la sua industria è in declino, il costo della vita cresciuto, il debito pubblico incontenibile, tanto che il governo (laburista) è sul punto di chiedere l’aiuto del fondo monetario internazionale.
Dopo le elezioni del 1980 che riportano i Conservatori al potere, la Thatcher decide di sottoporre il settore pubblico a un duro trattamento, sopprimendo le aziende nazionalizzate che non garantiscono profitti e aprendo al capitale privato quelle che rendono.
La strategia delineata è quella di intraprendere un vasto programma di chiusura di unità produttive in taluni settori, come la siderurgia, le ferrovie, le automobili (la British Leyland, principale produttore, era stata nazionalizzata) e il carbone, di privatizzare e intaccare il monopolio statale nei settori in espansione come le telecomunicazioni, e di stabilire un sistema misto pubblico-privato nella sanità, tra ospedali, municipalità e ditte private.
Scelte che nell’immediato avrebbero portato ad una forte perdita di posti di lavoro e che suscitarono adeguate reazioni. La più significativa fu quello dei minatori quando si decise per la chiusura delle miniere di carbone: ci fu un lungo sciopero dei minatori che ebbe vasta eco internazionale e che si concluse con la sconfitta dei lavoratori: la Lady non torna indietro, si disse di lei.
Vicende che i meno giovani hanno seguito nelle cronache dei quotidiani dell’epoca e tutti comunque attraverso la visione dei film di Ken Loach.
Che si può dire oggi, a 20-30 anni di distanza? La GB si è “aperta al mercato”: i servizi funzionano e sono erogati da aziende profittevoli, non necessariamente nazionali (l’energia elettrica è fornita dall’ente, di stato, francese!). Le auto vengono prodotte in fabbriche di proprietà americana o giapponese, ma il lavoratori sono inglesi etc.
Per tornare poi alla vicenda dei minatori, beh, oggi i loro figli ringraziano la Lady di averli salvati da un futuro di lavoro nelle gallerie delle miniere di carbone!
L’economia inglese è oggi sana, in ambito europeo non può paragonarsi alla Germania ma fa certamente parte del gruppo più florido. Oggi i problemi vengono dalle nazioni mediterranee.
Inevitabili i riferimenti al caso italiano. Non per caso nella copertina del libro dietro la faccia di Capranica si intravedono le figure della Thatcher e di Mario Monti.
Monti è la Thatcher che ci vorrebbe per l’Italia? Difficile ipotizzarlo, troppi condizionamenti e resistenze a decisioni drastiche. Caprarica ha citati gli Ordini Professionali (in primis quello dei Giornalisti), le burocrazie (amministrative, politiche, sindacali) che frenano o impediscono le necessarie liberalizzazioni. Le lobbies di ogni tipo sono in grado di condizionare governo e parlamento. Così l’Ordine degli Avvocati mantiene il suo potere nel regolare l’accesso alla professione dei giovani, e così i minatori del Sulcis o gli operai dell’Alcoa continuano a ricevere sussidi senza futuro, senza riqualificazione professionale e nuovi avviamenti al lavoro. Situazione che inevitabilmente porta al declino.
Dicono che gli Italiani danno il meglio di sé quando sono in situazioni disperate. Sarà così anche stavolta, con o senza una Thatcher?
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