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history_boys_2“Sold out” al teatro Binario 7 di Monza sabato 12 gennaio per la messa in scena di “The History boys”, commedia dello scrittore e drammaturgo inglese Alan Bennett.

 

La regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani ha saputo rendere al meglio i tre ingredienti, di non facile amalgama, che la compongono: intelligenza, leggerezza e profondità.

Parlare seriamente del senso della vita e della cultura facendo ridere non è cosa di poco conto. Del resto la commedia (che ha debuttato per la prima volta all'Elfo Puccini di Milano il 10 dicembre 2010) ha raccolto una messe di riconoscimenti all'edizione 2011 del premio Ubu ed è considerata uno dei più importanti ed entusiasmanti tra gli spettacoli firmati dai due registi.

Siamo nel 1985 in Inghilterra, in un liceo maschile di provincia. Otto studenti sono stati promossi alla maturità con un risultato tale da poter ambire a una delle più prestigiose università (“Oxbridge”), a condizione di superare un molto selettivo esame di ammissione. Eccoli dunque alle prese con la preparazione alla prova e con le diverse prospettive pedagogiche degli insegnanti che si fanno carico della  loro istruzione: Hector, l’insegnante d’Inglese (Elio De Capitani); Mrs. Lintott, la profe di Storia (Debora Zuin), e Irwin (Marco Cacciola), un giovane insegnante chiamato dal preside (Gabriele Calindri) affinché impartisca ai suoi studenti le dritte più efficaci per raggiungere l’obiettivo.

C’è molto della vicenda dello stesso autore in questa pièce: Bennett ha frequentato Oxford grazie a una borsa di studio, e lì si è laureato in storia. Molti sono dunque i riferimenti autobiografici disseminati nel testo: dalla preparazione all’esame, all’attrazione omosessuale del piccolo Posner (Vincenzo Zampa) per il bel Dakin (Angelo Di Genio), alla vocazione religiosa di Scripps (Giuseppe Amato). L’omosessualità è un tema che si dipana lungo tutto lo svolgersi della rappresentazione, legando tra loro le sorti di almeno quattro personaggi centrali, e si manifesta attraverso i palpiti, il desiderio, la trepidazione che sono tipici di tutti gli amori e che tanto abbiamo letto nei romanzi di formazione, da Goethe, a Flaubert, a Musil.

Divertendo e disseminando le situazioni di gag e di battute folgoranti, gli attori ci pongono di fronte al conflitto tra due concezioni del sapere: da un lato quella di Hector (la cultura come bene in sé, come valore per l’individuo): “Tu gli dai l’istruzione, io gli strumenti per resisterle”; dall’altro quella di Irwin (la cultura come ornamento da sfoggiare in società, come lasciapassare per il successo): “E in quanto alla sua amata verità, Scripps, lasci perdere. In un esame la verità non è fondamentale”.

In fondo, non è importante quanta letteratura conoscano, bensì quante cose conoscono sulla letteratura”, sostiene il preside (un bravissimo Gabriele Calindri). Uno degli studenti, Rudge (Marco Bonadei), pensa che “la storia è una serie di stronzate messe in fila”. Allora, secondo il giovane professore, tanto vale trasformarla in una rappresentazione, stupire, provocare, anziché cercarne un senso o esprimere un giudizio morale: “Mollate il branco, siate provocatori. Oggi la storia non ruota intorno alle convinzioni. È performance, è spettacolo. E quando non lo è, fate in modo che lo diventi”. Questo l’invito di Irwin. Che al tempo stesso, tuttavia, è personaggio più complesso di quanto potrebbe apparire, perché nel suo invito a “mollare il branco” si cela anche lo sprone a non fermarsi agli stereotipi, ai concetti triti e ritriti, per quanto socialmente accettati: “perché non c'è modo migliore per dimenticare qualcosa che commemorarla.”

Voglio sottolineare anche il ruolo della professoressa Lintott (un’ottima Debora Zuin), che tiene continuamente le fila delle diverse prospettive dei colleghi e che tenta di indurre i suoi studenti a non fermarsi alla superficie delle cose, ma a guardare dentro. A un certo punto si abbandonerà all’amarezza, lei che la storia la insegna, rilevando il ruolo marginale ricoperto dalle donne nella Storia, così pervasa dal dominio del maschio: “La Storia è un lungo commento sulle differenti e incessanti incapacità dell'uomo. Riesce anche per un attimo a immaginare quanto possa essere deprimente insegnare cinque secoli di inettitudine maschile?”

Ma i giovani (otto strepitosi attori under 30) sanno che la vera posta in gioco in quei tre mesi nei quali stanno scoprendo tante cose nuove su loro stessi è il rapporto tra cuore e ragione: “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”, dicono, citando Pascal.

Lo stesso professor Hector tocca il nostro cuore quando afferma: “leggendo, i momenti più belli sono quelli in cui incontriamo un’idea, un’emozione, una visione del mondo che credevamo speciale, privata, tutta nostra. E invece eccola lì, messa nero su bianco da qualcun altro, da una persona che non abbiamo mai conosciuto, che magari è morta da un pezzo. E’ come se una mano tesa uscisse da quelle pagine”.

“The history boys” è un’opera che propone tante domande (a partire da quella del rapporto degli individui con l’omosessualità) senza offrire risposte, se non dirci che la bellezza della vita sta proprio nel porsi delle domande, nel non dare nulla per scontato.

Quelle proposte, inoltre, sono domande quanto mai attuali in questi ultimi anni: cos’è la cultura? A cosa serve? Deve servire? Di cosa parliamo quando usiamo l’espressione “merito”? da cosa lo riconosciamo? Una scuola di qualità in base a cosa si misura? Quale dev’essere il ruolo dei dirigenti scolastici? A queste possiamo aggiungere domande di natura più pedagogica e filosofica: qual è un rapporto “sano” tra un professore e un suo allievo? Quali sono i confini dell’eros inteso come passione, come tensione verso l’altro, all’interno di una relazione educativa? Cos’è la storia, come la si fa, chi la fa? Che ruolo ha il caso nelle tragedie della vita?Che cosa è giusto è che cos’è sbagliato?

La cosa più rara, però, che ci ha donato la rappresentazione di sabato scorso, è stata l’opportunità di uscire da teatro con la testa piena di domande e il sorriso sulle labbra.

Al termine delle replica della Domenica pomeriggio il regista e protagonista: il monzese De Capitani orgoglioso di avere portato finalmente a Monza questo spettacolo che ha raccolto consensi in tutto il mondo, si è rivolto direttamente al Sindaco di Monza che era in sala…”Sono contento di averlo fatto in una fase dove il vento sta cambiando…nel contempo Sig.Sindaco, pur consapevole delle difficoltà economiche che l’e Amministrazioni stanno vivendo si ricordi che investire sulla cultura significa investire sul futuro della nostra città…”

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