Lezione di Pettit a Cortona sull'identità dei democratici. Dall'Isocrazia di Aristotele al popolo di Lincoln e all'uso della rete
Democrazia? Anche se ce lo scordiamo il suo significato è nella sua etimologia: demos cioè popolo e cratia ovvero controllo. Un viaggio dall’antica Grecia alle signorie fino ai giorni nostri quello proposto a Cortona da Philip Pettit per ricostruire le identità dem.
Partiamo dalle signorie, protette in Italia dall’imperatore che non potev a interferire sulle loro scelte. Una situazione che non dura più di un secolo, perché nel ‘300 diminuiscono le città stato, non hanno un principe, e diventano repubbliche, diventando meno “protette” in un regime popolare. Elemento caratterizzante della democrazia è il controllo sulle decisioni con cui vengono realizzati gli affari pubblici. Ma cosa vuol dire esercitare il controllo? Pettit fa un esempio di vita quotidiana: “Potrei bloccare il traffico anche senza divisa da vigile, qualcuno mi eviterà, qualcuno mi ubbidirà, solo perché sto in mezzo a un incrocio. Ho un effetto, un influenza, ma non controllo. Il vigile facendo le stesse cose controllerebbe, esercitando influenza per promuovere un obiettivo”. Insomma, il popolo per esercitare controllo sul governo deve essere riconosciuto dal sistema come tale, e in questo rimarca di non essere scettico sulla democrazia come gran parte dei politologi da Schumpeter in giù che affermava che l’unico effetto è quello del voto, che però non è ragionata ma casuale. Altrimenti, senza controllo, il principe risponde solo a se stesso. Se nessuno fuori dal paese controlla c’è un’ assenza di controllori esterni, ragion per cui una colonia non può essere democrazia.
Governo deve confrontarsi con poteri economici, allora il rischio è che le decisioni siano plasmate rispetto ai loro desiderata (ex: multinazionale che delocalizza, mina la democrazia col suo controllo esterno). “Chi nega la valenza del controllo afferma che bisogna governare sé stessi, come un pensatore italiano, il rettore dell’ateneo di Parigi, Marsilio da Padova che nel 1325 indicava nella chiesa cattolica il grande nemico della democrazia nazionale, un controllo non esattamente esteriore ma che sarebbe impossibile col cratos esercitato dal demos. Bisogna neutralizzare i controllori? Si, vanno neutralizzate le elite perché se controllano tutto con obiettivi di influenza del governo non c’è piena democrazia”.
È un punto fondamentale nella lezione: non può essere l’elite a esercitare il controllo, sono fazioni che arrivano al parossismo, come quella di uno come un monarca assoluto, ma quando una fazione di minoranza controlla il governo allora non vi è un governo del popolo. La ripete in Italiano dicendo che “è una vecchia parola, che se governa annulla il popolo. Cos’è una fazione? Qualcuno che controlla privando il popolo del controllo, pensiamo all’Iran dove un gruppo religioso auto costituito ha il controllo, c’è una costituzione ma non una democrazia. C’è un elite di potere come nella Russia di oggi, o negli USA con i finanziatori delle campagne elettorali. Obama prova a rompere il sistema delle lobby, ma è endemico negli USA”.
Infine non deve esserci il controllo da parte di una fazione di maggioranza. Ricorda che “Aristotele accanto a democrazia usava isocrazia, isos vuol dire uguale, ergo è il governo dell’uguaglianza, del popolo, perché la fazione di maggioranza potrebbe usurpare il governo decidendo tutto, è ovvio, pensiamo alle isole Figi, dove la minoranza indigena del 40% è messa a tacere, mentre tutti devono avere rivendicazioni uguali. In società dove piccole minoranza anche religiose sono marginalizzate e la legge stabilisce che bisogna adeguarsi ai dettami della maggioranza, questa diviene usurpatrice”.
Che fare allora? “Per contrastare controlli servono delle istituzioni, norme che possono esser modificate dal popolo, osservatori internazionali obiettivi. Ci sono stati nel sud america non sarebbero un danno negli USA o in Europa. Poi ci sono funzionari della burocrazia, magistrati, ombudsman che possono prendere tante decisioni. Ergo la nomina di queste funzioni non può essere fatta per simpatia. I processi decisionali del governo non dovrebbero essere assegnati al controllo delle fazioni, come nell’antica Roma dove vi erano 3 organismi che facevano le leggi: non il senato ma l’assemblea di tribuni e centurie con 2 consoli e i rappresentanti della plebe”. Tutti limiti che il governo deve accettare perché sono diritti delle persone e stabiliscono lo stato di diritto. Chi lo fa? Potrebbe essere parlamento, i media, dei plugin via web, lamentele da presentare presso uffici, ma soprattutto “devono esserci canali noti anche al pubblico, come le ong, le associazioni dei consumatori, movimenti nella società civile che abbiano potere legislativo di presentare denunce contro governo di gruppi o individui prevaricati. Serve un autorità credibile per dirimere controversie, giudici, un’opinione pubblica non distorta dai mezzi di comunicazione orientati verso un solo gruppo, insomma una democrazia contestataria ed evolutiva, dove con il tempo le leggi cambiano. Non assemblearismo alla Rousseau ma rete, perché intuì lui stesso il rischio di tirannia della maggioranza”. E profila un’interazione con ricorsi ai tribunali, un sistema distribuito e interattivo. Chiude con un’indicazione che ha radici antiche: “Io sono irlandese ma se c’è una cosa che amo negli Usa è la definizione di Lincoln: un governo del popolo, espresso dal popolo per il popolo”. Una delle forme di democrazia contestataria è il governo del popolo, è li a esercitare il controllo e potrebbe essere l’idea eccellente per il PD.
Marco Laudonio
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