Hanno chiamato il sen. ICHINO, i giovani del PD, per capire cosa li aspetta nel mondo del lavoro. In una sala gremita alla Villa Gussi di Vimercate, lunedì 31 gennaio hanno assistito ad una illustrazione esaustiva, anche se schematica, delle tipologie di contratto di lavoro attualmente in vigore.
Anzitutto una visione statistica:
- Considerando circa 22.800.000 i lavoratori in Italia;
- togliendo i liberi professionisti, ecc. si arriva a circa 18.600.000 unità;
- di questi circa 9.500.000 sono dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
Gli altri hanno una situazione precaria, non protetti dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
- 3.500.000 lavorano in aziende con meno di 16 dipendenti ( l’art. 18 non si applica );
- 1.300.000 sono assunti a termine;
- 1.200.000 – 1.400.000 sono Co.Co.Co. ( collaboratori coordinati continuativi ). Comprendono i lavoratori a progetto. Sembrerebbero lavoratori autonomi; in realtà sono utilizzati come lavoratori dipendenti;
- da 1 a 2.000.000 sono le Partite Iva, che in massima parte hanno un rapporto di mono-dipendenza, quindi sono di fatto dei dipendenti. Molto diffusi ad es. nel settore sanitario – cliniche, case di cura, ecc.;
- 5 – 600.000 interinali ( forniti da agenzie quali: Adecco, Man Power, ecc.).
Esistono poi i lavoratori in nero, che sfuggono alle statistiche di cui sopra, ma che si possono stimare in un 15%.
Preoccupano maggiormente le percentuali di precariato che tendono ad aumentare. Meno frequenti fra i lavoratori di maggiore età, sono quasi la regola fra i più giovani e le donne. Si stima che su 10 nuovi assunti, 8 siano precari. Se non si inverte la tendenza, il fenomeno si aggraverà sempre più.
Il precariato esiste anche Europa, ma non supera il 25%, ed in alcuni Paesi resta sotto il 10%.
Fra le tipologie sopra elencate, i Co.Co.Co. e le Partite IVA godono di una previdenza sociale ridotta ( le cosiddette gestioni separate INPS ); gli interinali godono delle stesse previdenze dei lavoratori a tempo indeterminato, (ferie, 13° mensilità, TFR ecc. ), tranne che per la continuità del posto di lavoro. Infatti il lavoro interinale è caratterizzato da periodi brevi ( nell’ordine delle settimane o di pochi mesi ).
Da parte imprenditoriale il precariato è preferito perché costa meno: niente ferie, malattia, maternità, TFR, ecc. Inoltre fornisce flessibilità, perché è facile liberarsi dei lavoratori in surplus, quando l’attività economica ristagna.
Si determinano così situazione nelle quali, ad es. nel campo dell’editoria, due addetti alla correzione delle bozze fanno lo stesso lavoro, ma uno ha tutte le protezioni dello Statuto dei Lavoratori; l’altro guadagna meno, non ha garanzie di orario, lavoro straordinario, malattia, ferie, ecc. - e quando il lavoro diminuisce….a casa.
E’ una politica miope anche in termini di miglioramento di know how aziendale, perché così non si investe in formazione, ed il livello professionale degrada.
Quali sono le posizioni del PD in materia, e quali i progetti in cantiere?
Vi sono due livelli di elaborazione.
- un primo livello, condiviso da tutti, che chiede coperture assicurative e previdenziali per tutti i lavoratori, in tutte le forme riconducibili a lavoro dipendente;
- un secondo livello è rappresentato da un progetto, che ha provocato discussioni accese nell’ambito dello stesso PD, e che prevederebbe una nuova legislazione del lavoro. E’ il Disegno di Legge 1873/09: primo firmatario il sen. Ichino e altri 53 firmatari. Si rifà al modello danese. Le sue caratteristiche principali sono:
1. a partire da un certo momento, nelle aziende con più di 15 dipendenti, i nuovi assunti entrano con un contratto uguale per tutti e a tempo indeterminato. I contratti in essere rimangono in vigore;
2. i licenziamenti discriminatori (politici, ecc.) o per motivi disciplinari, vengono sempre disciplinati dallo Statuto d. Lavoratori, art. 18;
3. il datore di lavoro però, in presenza di problemi economici comprovati, può licenziare i lavoratori in eccesso;
4. per questi scatta una assistenza tipo ”out-placement”. Sono previste delle agenzie che, finanziate dai datori di lavoro, aiutano il lavoratore licenziato a cercare un altro posto, gli mettono a disposizione eventuali corsi di formazione per una riqualificazione. Il lavoratore percepisce il 90% della sua retribuzione ( con tetto di 36.000 € ) per il primo anno. Per il secondo l’ 80%, e per il terzo il 70%.
5. E’ interesse del datore di lavoro far sì che il lavoratore sia ricollocato al più presto, perché così si riducono i costi del ricollocamento. (*)
Il pubblico, che ha seguito l’esposizione con molta attenzione, ha posto una serie domande.
Un intervento ha chiesto perché questo Disegno di Legge non è supportato da tutto il PD. Secondo Ichino il motivo è la contrarietà a depotenziare l’art.18. (in effetti questa perplessità serpeggiava anche fra alcuni dei presenti). Ma – prosegue – l’art. 18 fa parte dello Statuto dei Lavoratori che è stato varato nel 1970, in tutt’altra situazione economica. Oggi occorre rianalizzare tutta la materia.
Un altro ha chiesto se questo progetto può applicarsi alla pubblica amministrazione. La risposta è: per ora no, fintanto che nella PA non ci saranno dei dirigenti chiamati a rispondere dei risultati operativi, come nelle aziende private.
Ichino poi, proiettando anche alcune tabelle, ha sottolineato la difficoltà per l’Italia ad attirare investitori stranieri. I motivi sono molti, tra i quali anche la carenza di infrastrutture, una amministrazione pubblica lenta e burocraticizzata, una politica industriale latitante, ma anche una legislazione del lavoro troppo complicata, e praticamente non traducibile in inglese. Così ci tagliamo fuori da opportunità importanti, che potrebbero rimettere in moto l’economia.
La riunione si è conclusa con l’invito al sen. Ichino a tornare in futuro.
Report