Un contributo di Lorenzo Perego
Perchè andiamo in carcere? Perchè usiamo il nostro sabato pomeriggio, dopo una lunga attesa sotto il sole, per uscire dalla città ed entrare in prigione? Perchè: questo ci chiedono le persone che andiamo a trovare. Vogliono capire cosa ci spinge, chi siamo noi che le vediamo diversamente da come i media e il resto della società le dipinge.
Lo facciamo per curiosità, per provare un'esperienza nuova, per spirito di servizio, per amore dell'altro. Lo facciamo per rimarcare la nostra libertà di poterli pensare altrimenti da come ce li raccontano. Lo facciamo per imparare da loro più di quanto possiamo sperare di insegnare, e per restituire un senso di giustizia che non hanno mai avuto.
Non ci sono mostri in carcere, ci sono persone che pagano i loro errori, l'uso errato, deliberato od obbligato, della propria libertà. Ma noi che entriamo lasciamo fuori le maschere, perchè sappiamo quanti di noi si portano addosso colpe che non sconteranno, perchè nati in ambienti sociali più protetti o perchè nessuno ci ha mai “beccato”. Il giudizio resta fuori, la libertà personale rimane, ma chi è così sicuro di saperla gestire senza macchia? Siamo condannati ad essere liberi, costretti ad essere consapevoli continuamente della responsabilità delle nostre azioni.
E allora chi sbaglia deve pagare, ma chi non sbaglia (almeno secondo la legge degli uomini) non è sottratto alla responsabilità che ha verso il proprio fratello o la propria sorella, di aiutarli a crescere, di non girare lo sguardo, di non lavarsene le mani, di non espellerlo dalla comunità, relegandolo in carcere, per attuare una vendetta senza redenzione, un'inutile condanna alla reiterazione dell'errore.
Questo sono le carceri oggi: luoghi per imparare a delinquere, luoghi in cui entri ladro di polli ed esci rapinatore di banche, perchè nessun altro stimolo ti arriva. Programmi di istruzione e di inserimento lavorativo sono inesistenti, l'inedia è la compagna quotidiana in una cella già sovraffollata.
Il Signore Gesù ci ha fatto comprendere che siamo tutti peccatori, nessuno di noi ha il coraggio di lanciare la prima pietra, dinanzi alle sue parole, e la peccatrice comprende il suo errore ed ha la sua nuova possibilità, dopo il suo percorso di riconciliazione. Ecco cosa manca: la riconciliazione, il tentativo di far maturare l'incontro tra vittima e carnefice. Ma “vittime, non lo siamo tutti?”, diceva un film. Tutti siamo succubi di un conformismo sociale, che ci porta a sospendere nel limbo o ad affondare nelle sentenze facili, persone di cui non conosciamo la storia, perchè non ci interessa. Non la vogliamo conoscere, perchè ci fa paura, perchè temiamo che si indebolisca la nostra violenza nel giudizio.
Ma come fa la vergogna a non assalirci, quando continuiamo a chiamare giustizia il colpo di spada che taglia il problema, e non la cura faticosa dell'umano che grida aiuto, che chiama la nostra attenzione col suo delitto. Cosa hanno mai avuto dalla vita Caterina, Simona, Kelly, Carla... che gioiscono e bramano due ore di parole con altre persone: proviamo a pensarci, noi, che ogni giorno sprechiamo frasi e non ascoltiamo i nostri cari, proviamo a pensare se un giorno tutto questo improvvisamente ci mancasse. Come lo rimpiangeremmo.
Siamo davvero innocenti, solo perchè stiamo al di qua delle sbarre? O siamo colpevoli, poiché le sbarre le abbiamo nel cuore, e ci separano dalla comunione con l'altro? La desideriamo davvero questa comunione? O ci basta la compagnia di quelli che ci piacciono? Che merito avremo nell'amare solo gli amici? Non è forse un amore monco, rachitico, crudele, egoista, selettivo e compiacente?
Riempiamo le carceri per toglierci il problema dagli occhi, e non riusciamo a comprendere quanto in questo modo aiutiamo il disagio ad esplodere più violento, nutrito dall'odio con cui l'abbiamo alimentato con la nostra condanna e il nostro rifiuto di scavare e comprendere, in nome dell'efficienza, contro ogni perdono. Riempiamo le carceri di reietti e derelitti, di coloro che già in partenza non hanno possibilità, di sfortunati, disagiati, stranieri e poveri: sono loro che sovraffollano le celle, perchè indirizzati dalle circostanze della vita ad impiegare verso il male la loro libertà: e con sofferenza scontano la pena, cercano la redenzione, ma purtroppo spesso trovano solo abbandono e altra violenza, che li risucchiano in un vortice di crimine infinito, perchè non c'è nessuna possibilità di lavare le macchie, in questa società della condanna. E fuori se ne stanno tutti gli altri: alcuni criminali efferati, ma rei di delitti troppo “nobili” per il carcere, come la corruzione o la truffa, o magari perchè sono potenti, sono protetti, e la legge permette di lasciarli agire; altri semplicemente indifferenti, colpevoli nella loro indifferenza, nel loro volersi togliere di torno il maggior numero di fastidi e di pensieri: quante volte abbiamo vestito questi panni!
Il perdono non è un attimo, è un cammino. È confronto, è crescita, è assunzione di responsabilità. Come facciamo a restituire umanità a questi uomini e a queste donne, che per noi sono solo (e resteranno sempre, anche una volta scontata la pena) delinquenti, se non ci impegniamo a favorire l'incontro, la relazione, l'educazione, ma ci divertiamo a tenerli in condizione di minorità, convinti che il cane con la catena stretta se ne stia buono e non schiumi di rabbia.
Io, noi, vogliamo dire: nessuno ti condanna, ma ci interessa la tua storia, chi sei, da dove vieni, cosa cerchi, vogliamo mostrarti un'altra strada, più difficile, ma che vogliamo percorrere con te.
Grazie alla Caritas della diocesi di Milano, che crede nel progetto Giovani e Carcere, che ogni anno permette a ragazzi e ragazze di fare l'incontro con la prigione e con chi ci vive, per risvegliare domande forti e necessarie e non lasciare che il pensiero dorma, quando c'è tanto da fare, anche con poco: basta un po' di tempo e qualche parola, o la voglia di ascoltare semplicemente. C'è anche un'altra grande categoria di persone, in carcere, che meriterebbe più attenzione: le guardie carcerarie. Spero che in futuro si riescano ad attivare progetti di incontro e conoscenza anche con questi lavoratori, di cui pochi conosco i sentimenti e le sofferenze che ogni giorno vedono e sopportano, e i metodi che devono adottare per non soccombere all'ambiente dietro le sbarre.
Grazie a chi, anche a causa di queste parole, si impegnerà a partire dalle piccole azioni quotidiane, per cambiare il pensiero indifferente di questa società, che ha scordato la misericordia, ma la invoca solo quando ne ha bisogno per sé.
Lorenzo Perego
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