“L'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto” (Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950). La Dichiarazione Schuman - che prende il nome dal suo autore, l'allora ministro degli esteri della Francia - fu, nel maggio del 1950, il punto di partenza di quanto oggi si chiama Unione Europea: per la prima volta nella storia, un francese tese la mano ai vicini tedeschi.
Tra frasi forse di rito e idee mai realizzate, nel testo fu inserita la chiave di volta della pace che regna sul continente, più o meno, da circa 60 anni.
Figlia primogenita delle parole di Schuman fu la CECA, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, istituita con il Trattato di Parigi nel 1951, esattamente un anno dopo la dichiarazione di Schuman: membri Fondatori della CECA furono Francia e Germania, le radici storiche di tutti i drammi europei, assieme a Italia e Belgio, Olanda e Lussemburgo.
Sei paesi per un’idea: mettere in comune carbone e acciaio, le materie prime della guerra.
La strada intrapresa fu quella del funzionalismo. Parola complicata, banalmente traducibile con: "Sfruttiamo l’economia per arrivare alla pace". Due o più Paesi, con in comune uno o più mercati, difficilmente avrebbero ricominciato a farsi la guerra.
Così dal carbone e acciaio, pochi ma buoni, si passò, per fasi, all’idea - e poi alla realizzazione - di un’integrazione del mercato intero.
L’anno di svolta fu il 1957, con la sottoscrizione, il 18 aprile a Roma, del trattato istitutivo dell'EURATOM – inizialmente pensato per coordinare i programmi di ricerca degli Stati per promuovere un uso pacifico dell’energia nucleare - ma, soprattutto, con la creazione, con un trattato sottoscritto, nello stesso giorno, sempre a Roma, della CEE, la Comunità Economica Europea.
La CEE, in particolare, era orientata verso una dimensione di sempre più strette interconnessioni economiche: gli strumenti individuati furono l’affermazione progressiva delle “quattro grandi libertà” - libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone -, di regole di concorrenza comuni agli Stati membri, di una tariffa doganale comune, che poi sfociò, nel 1968, in una vera e propria Unione doganale, e, infine, di una politica agricola comune.
Mancava ancora una vera e propria integrazione politica, integrazione che passò per due strade: l’allargamento a nuovi Stati membri e la democraticizzazione delle istituzioni.
Nel 1965 il Trattato di Bruxelles creò un quadro istituzionale unitario per tutte e tre le comunità.
Nel 1973 entrarono a far parte delle Comunità il Regno Unito, l'Irlanda e la Danimarca, alle quali seguirono, nel 1981, la Grecia e, nel 1986, la Spagna e il Portogallo.
Dopo un primo periodo di sviluppo dell’idea di integrazione, fu tuttavia la crisi petrolifera del 1973 – che segnò, di fatto, la fine del boom economico – a rivelare i limiti “politici” della costruzione europea fino ad allora realizzata: i Paesi membri affrontarono il problema dall’approvvigionamento del petrolio a ranghi sparsi.
Nel 1979 si giunse così alla istituzione dello SME, il Sistema monetario europeo, che, nell’ottica di una futura unione monetaria, aveva l’obiettivo di stabilizzare i cambi e arginare la politica della svalutazione tra le divise europee; e, sempre nel 79, per la prima vita - un fatto epocale - il Parlamento europeo fu eletto direttamente con suffragio universale dei cittadini degli Stati membri.
Nel 1986 l’Atto unico europeo completò il quadro del mercato unico, portandolo a effettivo compimento e istituzionalizzò il Consiglio europeo, formato da tutti i capi di stato o di governo, chiamato a riunirsi periodicamente per assumere le decisioni ritenute più rilevanti e per dare gli orientamenti politici di portata generale.
Nel 1989, alla caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre, l’Europa diventò il migliore dei mondi possibili per tutti quei paesi in fuga dal blocco di influenza dell’URSS.
Tuttavia, si trattava ancora di un’Unione molto idealizzata e poco sostanziosa sotto l’aspetto non economico: mancavano una cognizione di appartenenza, un'idea di cittadinanza. Ma soprattutto mancava un’identità.
Primo e fondamentale passo nella creazione di un’Europa politica e non più solo mercantilistica fu il Trattato di Maastricht, datato 1992. In una sperduta cittadina dell’Olanda si disse, finalmente, e per la prima volta, “siamo europei”. Cittadini europei.
Di un’Europa che, tra l’altro, nel 1995, includeva anche Svezia, Finlandia e Austria. Quel che verrà messo in pratica con gli accordi di Schengen, con la libera circolazione delle persone, trovò qui la sua prima affermazione.
Ma non solo: a Maastricht nacque l’Euro. Forse le più grande conquista concreta dell’Unione Europea, qualsiasi cosa se ne dica oggi. Diventava concreta l’idea di poter cominciare a collezionare lire e marchi, ormai inutili ai viaggiatori, e immaginare di poter pagare ovunque, in Europa, con lo stesso pezzo di carta.
Nel 1999 entrò in funzione la BCE e nel 2001 prese corso la moneta unica.
Ma i meriti dell’Europa non finiscono qui. A questo mondo “lontano” è dovuta anche la riconciliazione, almeno teorica, tra quelli che furono i due blocchi del dopoguerra. Nel 2004, con il Trattato di adesione, molti dei paesi fuoriusciti dal Patto di Varsavia diventarono membri effettivi dell’UE.
Per arrivare all’attuale formazione dei 28 mancavano ben poche tappe. Nel 2007 entrarono Bulgaria e Romania. Nel 2013 l’ultimo arrivato, la Croazia.
Il tutto sotto le regole dell’ultimo importante trattato, quello di Lisbona. Firmato nel 2007 ed entrato in vigore nel 2009, cancellò le vecchie comunità lasciandone una sola. L’Unione Europea. Unico soggetto avente personalità giuridica. Unico vero volto dell’Europa unita.
Un processo in continuo divenire, insomma, tra slanci e battute d’arresto. Risultati tanto quanto sogni fermi a metà. Tra le conquiste il mercato unico, l’euro e la cittadinanza. Tra i fallimenti una costituzione lasciata a metà, un’identità quasi inesistente e una guerra casalinga. L'odierna grande grande crisi, anche democratica, dell’Unione lascia interdetti di fronte a un unico dato di fatto: l’Europa deve cambiare, questo è certo. Ma deve diventare di più, non cessare di esistere. L’alternativa è il caos.
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