costituzioneDa Spadolini a Renzi, da Pertini a Mattarella, da Zoff a Buffon, sono 34 anni, dal cosiddetto “decalogo Spadolini” (1982), che discutiamo di riforme senza mai fornire adeguate risposte per semplificare il funzionamento dello Stato. È molto forte dunque il rischio della conservazione, della paura del cambiamento, come se questo Paese non vivesse il problema quotidiano del cattivo rendimento, dello sperpero di energie e risorse.

Gli argomenti principali contenuti nella Riforma sono costituiti essenzialmente da 3 novità importanti: Bicameralismo (Camera, Senato) differenziato, la modifica del Titolo V della Costituzione (Federalismo) e l’accrescimento degli strumenti di partecipazione (referendum).

Il ritratto della Riforma è disegnato dalla modifica del rapporto di indirizzo politico e di controllo nei confronti del Governo che verrebbe riservato alla Camera, ed al Senato sarebbe tolta la possibilità di attribuire o negare la fiducia all’esecutivo. Un punto di equilibrio tra rappresentanza parlamentare e stabilità dell’azione del governo.

Alcuni provvedimenti, importanti per l’attuazione del programma di governo, potranno essere discussi in 70 giorni, senza contare che finalmente saranno esaminate obbligatoriamente le leggi di iniziativa popolare e posti dei limiti per la decretazione di urgenza.

Se a questo aggiungiamo la riforma del referendum abrogativo e l’introduzione del referendum propositivo, pare difficile condividere le paure di chi agita, in caso di vittoria del , lo spauracchio dell’uomo solo al comando, dell’attentato alla democrazia ovvero di alto tradimento della Costituzione.

Il Senato diventerà il luogo delle autonomie, le nuove competenze saranno contenute nella riscrittura del nuovo art.70, passando quindi dal Bicameralismo perfetto a quello differenziato. Si occuperà di enti locali italiani e anche di Europa. Avrà poi il ruolo di controllore delle politiche pubbliche e di controllo sulla Pubblica Amministrazione. Potrà infine eleggere due giudici della Corte Costituzionale.

Dal 1994, 4 elezioni su 6 hanno dato risultati diversi tra Camera e Senato e tutto ciò ha determinato l’unione di maggioranze eterogenee ricorrendo a transfughi, Senatori a vita oppure accordi successivi che hanno indebolito i governi (quelli dell’Ulivo ringraziano).

Con la modifica del Titolo V della Costituzione viene rovesciato il sistema per distinguere le competenze dello Stato da quelle delle regioni. Sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (politica estera, immigrazione, rapporti con la chiesa, difesa, moneta, burocrazia, ordine pubblico, ecc.). È necessario, in un’epoca oggettivamente difficile, fare sistema, evitando i 1500 ricorsi che hanno ingolfato la Corte Costituzionale, di mantenere i venti sistemi turistici regionali e finalmente di equiparare il prezzo della famosa siringa da Palermo a Trieste.

Sarà inevitabile la riduzione dei costi, riguardo l’abolizione delle indennità per i Senatori, i finanziamenti ai gruppi regionali e l’assegnazione di un tetto per lo stipendio ai Consiglieri regionali, insomma non ci saranno più gli scandali delle mutande verdi o dei matrimoni pagati con i soldi pubblici.

Peraltro il cospicuo risparmio sarà quello che non si traduce in una voce di bilancio, ma che deriva dalla velocità del processo decisionale, dalla qualità delle decisioni assunte, dalla capacità di tradurle in politiche effettive. La Costituzione nella sua prima parte, quella che riguarda i diritti fondamentali, le regole del vivere civile, non viene affatto toccata. Giustamente è considerata, quella che riguarda i diritti fondamentali, tra le Costituzioni più belle e meglio scritte al mondo. Espressione di una cultura giuridica senza pari e frutto della sofferenza della guerra e della dittatura fascista.

Ma il resto riguarda l’organizzazione dello Stato che si può e si deve migliorare. Proprio per rendere esigibile i diritti e i valori espressi nella prima parte si ha bisogno di uno Stato moderno, al passo coi tempi.

“Un miracolo della storia” scrisse Piero Calamandrei il 2 giugno del 1946, a proposito della nostra Repubblica proclamata quando c'era ancora sul trono il re senza una sommossa civile perché fu una libera scelta di popolo al riparo dall'ideologia.   

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