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Sono le 0.35, perciò tecnicamente già sabato 6 novembre, quando incontro una trentina di Coordinatori di Circoli del PD Brianzolo, nel parcheggio dello stadio Brianteo di Monza, per andare a Roma, all’incontro nazionale con Bersani; gradita aggiunta, il neo segretario provinciale Gigi Ponti. Un paio di transessuali brasiliani ci guardano storti, pensando ai clienti che la nostra presenza sicuramente spaventerà; immigrazione, clandestinità, prostituzione, emarginazione di genere, la banale considerazione che per fare piazza pulita di fenomeni sgradevoli sarebbe sufficiente tornare a vivere le nostre città, invece che limitarci alla repressione: quanta società, quanti problemi, quanta politica in un angolo buio di un parcheggio di uno stadio, nel mezzo dell’opulenta Brianza.

Saliamo sul bus; mezzo stordito dal mio usuale e irregolare dormiveglia “da viaggio”, ho scarsi ricordi del tragitto percorso. Mi risveglio alle 9 del mattino, in una Roma stranamente senza traffico. Scendiamo dal bus, ci avviamo lungo via della Conciliazione; ci accoglie una giornata pressoché primaverile, luminosissima. Alla nostra sinistra, Piazza San Pietro è come sempre maestosa. La Cattedrale, l’Obelisco, il colonnato del Bernini: decine di foto; poche centinaia di metri più in là, passato l’auditorium, la vista si apre sul Tevere e sull’imponente volumetria di Castel S.Angelo. Fotografo i ponti, pensando a un episodio che mi ha sempre incuriosito: Papa Clemente che scappa a gambe levate dalle truppe del Conestabile di Francia, durante il Sacco di Roma, nel 1527, per rifugiarsi proprio a Castel S. Angelo, da dove uscirà mesi dopo, in cambio di un pesante riscatto. Carlo di Spagna, Francesco di Francia, Giovanni dalle bande Nere, il Frundsberg, la Guardia Svizzera che si fa massacrare per difendere il Papa, la Riforma, l’odio tra Luterani e “Papisti”: storia complicatissima, affascinante, di lotte e tradimenti, di trame segrete, di eroismi, di politica raffinatissima e confusa, con alleanze che nascono e si sciolgono in un attimo. Se qualcuno vede un parallelo col presente, beh, condivido pienamente. Intanto constato che c’è più storia in 500 metri di strada italiana che in migliaia di km quadrati americani o cinesi, ma noi perdiamo costantemente posizioni nella classifica dei paesi più visitati, a beneficio di Spagna, Francia, Cina. Il giorno dopo si apprenderà del crollo della Domus dei Gladiatori a Pompei. Il paese che non onora la sua storia si condanna a riviverla ….

Entriamo nell’auditorium poco prima delle 10; ancora molti posti liberi. Alle 10.30 l’incontro non è ancora iniziato. Alle 10.45, nemmeno; iniziano i primi nervosi “applausi” di richiamo. Alle 11.00, mi guardo intorno: la sala è strapiena, ci sono anche persone in piedi. Faccio due rapidi calcoli, li sbaglio di poco: alla fine saremo probabilmente 2300, forse di più (figuratevi quanto sono affidabili i conteggi da centinaia di migliaia di persone ….). Alle 11 si inizia. Bersani è defilato, su un banchetto con il responsabile organizzativo, Stumpa. Ascolta attento e prende appunti. Gli interventi si susseguono, ben scanditi, ma senza fretta: ognuno ha il tempo di approfondire. Tanta, tantissima passione e onestà intellettuale, in alcuni casi autentico talento retorico, politico e leadership: penso soprattutto agli interventi di un ragazzo di Milano e a quello del rappresentante dei circoli all’estero. Costanti i rimbrotti alla riunione dei cosiddetti “rottamatori” di Firenze; la domanda è sempre la stessa: perché non siete qui, invece di promuovere un’iniziativa che comunque sarà letta dai più come un segnale di disomogeneità? L’”accusa” è in realtà più ampia, rivolta a tutti i dirigenti del partito: perché spesso si parla a sproposito? La frase più significativa è: ogni volta che un dirigente in televisione dice qualcosa in contrasto con la linea del partito, rovina in due minuti il nostro lavoro, che a noi costa mesi di fatiche sul territorio. Il richiamo all’unità del partito è continuo, come lo è quello alla prudenza e alla uniformità nelle dichiarazioni.

I temi? Uno soprattutto: il lavoro. L’economia in questo momento è il tema dei temi. Che venga dalle aziende in difficoltà, o dai lavoratori dipendenti il cui potere d’acquisto cala in continuazione, o dai precari che spesso sono mantenuti dalle pensioni dei genitori, i toni cambiano pochissimo, i problemi sono in realtà comuni. Alcuni dei relatori sono essi stessi precari, parlano con cognizione di causa. La netta sensazione è che, in barba a tutte le statistiche, ci sia ancora in giro la disperata ricerca di stabilità, e di più diritti, non di meno. Tutti i precari reclamano stabilità e certezze per il futuro, nessuno le chiede a spese dei diritti di chi una stabilità l’ha già raggiunta. Gli altri temi ci sono, eccome: tutti parlano di immigrazione, legalità, sicurezza, ambiente e urbanistica, ma l’interesse principale è soprattutto per l’economia. La platea sorride ai più o meno velati riferimenti a Ruby e al resto dell’harem di donnine del presidente del Consiglio, è indubbiamente interessata all’immagine pessima che dell’Italia si consegna all’estero, ma si scalda all’intervento del Coordinatore di Pomigliano, si agita ai richiami su una maggiore giustizia sociale, su politiche coerenti, anche fiscali, per la famiglia e per i lavoratori.

Alle 15 in punto prende la parola Bersani; il segretario onora il titolo dell’Assemblea, sul fondo, e si presenta in maniche di camicia. Pierluigi Bersani non è uno che scaldi particolarmente le folle, non è un AgitProp, un capo popolo; ma è una persona onesta, seria, competente. E’ stato un ottimo ministro (il cui lavoro è stato poi devastato da altri), sarà un ottimo candidato premier, perché è ciò di cui questo paese ha bisogno, dopo anni di follia mediatica e gossippara. I suoi ragionamenti sono lineari, puliti, persino semplici, ma mai semplicistici. Rinuncia a scherzare su Ruby, ma rammenta che si parlava di una minorenne, cosa che nessuno sembra più tenere in considerazione. Il richiamo a Firenze è più sui toni che sulla sostanza, ma in realtà c’è anche distanza nei contenuti. L’applauso più scrosciante alla convocazione della manifestazione per metà dicembre. La frase più significativa, sul PD: non è ancora il Partito che vogliamo. E sottolinea quell’ancora: ci sta chiedendo di aiutarlo, a costruire quel partito, se vogliamo che ci assomigli. Ci sta chiedendo pazienza, ma anche determinazione e impegno. E coerenza, e unità: il richiamo alla dirigenza è chiaro; ora, chi vuole intendere intenda.

Non so se dare retta alle sensazioni positive che mi lascia questa giornata, o ai sondaggi che ci danno ancora in calo, o agli inevitabili sfottò di chi mi farà notare che in un solo sabato c’erano due riunioni del partito a poche centinaia di km di distanza, per motivi in effetti abbastanza oscuri. Mi resta la voglia di continuare la battaglia nel mio circolo, nella mia città, nella mia provincia: ci sono tanti obiettivi da raggiungere, tanti sforzi da fare, e così poco tempo e poche risorse. Ma questo è ciò che abbiamo, a noi è toccato questo periodo storico, a noi la responsabilità di lasciare ai nostri figli un paese migliore in cui crescere i loro, di figli.

Alle 16 lasciamo la sala. Torniamo al bus, il viaggio di ritorno è un po’ più rapido di quello di andata. Una fermata in un autogrill per mangiare qualcosa, qualche battuta coi compagni di partito, un po’ di dormiveglia (ancora). Quando arriviamo al parcheggio del Brianteo, è quasi l’una di notte. Il nostro sabato è passato, ormai è domenica. Oggi parla Fini ….